Bruxelles – Viktor Orbán ormai è molto più di una mina vagante. Per le ambizioni di breve e medio termine dell’Unione Europea, l’Ungheria è a tutti gli effetti un ostacolo, come ormai diventato palese nel corso delle settimane che precedono un appuntamento decisivo a Bruxelles, il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre. E come messo nero su bianco da due lettere inviate dallo stesso primo ministro ungherese al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, in cui le aspettative su negoziati di adesione dell’Ucraina e sulla revisione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 vengono definite “infondate“.
Le parole contenute nella lettera ottenuta da alcuni organi di stampa europea sono una doccia freddissima per le istituzioni comunitarie, ma soprattutto per il presidente Michel, che solo una settimana fa si era recato a Budapest per provare una mediazione con Orbán in grado di evitare uno stallo al vertice dei 27 capi di Stato e di governo in programma fra pochi giorni. “Nella mia precedente lettera ho ribadito la mia iniziativa di tenere una discussione strategica sul nostro approccio generale e sulle nostre politiche nei confronti dell’Ucraina”, scrive Orbán, che anche dopo il faccia a faccia con Michel continua a ritenere che “il Consiglio Europeo non sia in grado di prendere decisioni fondamentali se non si trova un consenso sulla nostra futura strategia nei confronti dell’Ucraina“. È per questa ragione che il premier ungherese arriva al punto più estremo, parlando proprio dei due temi prioritari al vertice di metà dicembre: “Vi esorto rispettosamente a non invitare il Consiglio Europeo a decidere” su negoziati di adesione per l’Ucraina e revisione del budget Ue, “poiché l’ovvia mancanza di consenso porterebbe inevitabilmente al fallimento“.
Non farà piacere al presidente Michel il fatto che Orbán abbia utilizzato le sue stesse parole, ma rovesciandone il senso, quando sostiene che “deve evitare questo scenario controproducente per il bene dell’unità, la nostra risorsa più importante“. Proprio il numero uno del Consiglio lunedì scorso (27 novembre) a Budapest aveva chiesto al premier ungherese di sotterrare l’ascia di guerra – la minaccia del veto sulle conclusioni del Consiglio – in nome di uno “sforzo costante” per l’unità europea. Invece Orbán ha rincarato la dose su entrambi i temi. La proposta della Commissione di avviare i negoziati di adesione Ue con l’Ucraina viene bollata come “la fine della politica di allargamento dell’Unione Europea come strumento oggettivo e basato sul merito” e “contraria alle conclusioni del Consiglio” del 23-24 giugno 2022, quando era stato concesso a Kiev lo status di candidato all’adesione: “È necessario sviluppare una nuova opzione”.
A questo si aggiunge la proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027, con al suo interno la strategia di sostegno dell’Unione nei confronti dell’Ucraina. La Commissione ha proposto di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni costituita di sovvenzioni e prestiti: 33 miliardi in prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, 17 miliardi in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione. Orbán ha definito la proposta “priva di fondamento, sbilanciata e irrealistica” e ha invocato “un approccio nuovo, inventivo e a prova di futuro, basato sulle realtà politiche e finanziarie degli Stati membri”. In altre parole, tutto questo richiederebbe “ulteriori sforzi, tempo supplementare e una riflessione più completa”, che non vengono considerati possibili all’ultimo vertice dei leader del 2023.
Il nodo dei fondi Ue all’Ungheria di Orbán
Eppure, se non un bluff, quello di Orbán potrebbe essere l’estremo tentativo (forse di successo) per ricattare le istituzioni comunitarie e accedere ai fondi Ue destinati a Budapest ma attualmente congelati per diverse questioni, dallo Stato di diritto ai diritti fondamentali. Secondo le ultime indiscrezioni dei funzionari europei, la Commissione Europea sarebbe pronta a sborsare “fino a un tetto massimo” di 10 miliardi di euro “prima del 15 dicembre” dai fondi della politica di coesione (anche se sulle cifre c’è poca trasparenza), dopo aver dato il via libera al capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro, con i suoi 900 milioni di euro di pre-finanziamento automatico e non vincolato. Tutte decisioni che appaiono quantomeno cuoriose nel loro tempismo in vista del Consiglio Europeo di metà dicembre.
Stando ai dati più accurati forniti a maggio scorso dagli stessi servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria che attualmente sono congelati da Bruxelles si attestano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022. Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’. Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi sono vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e sono quelli che potrebbero essere sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non basterà mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), ma dovranno essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali, come le potenziali violazioni dei diritti umani.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a fine novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf).