Bruxelles – Si è aperta ormai una grave crisi diplomatica tra Italia e India sulla questione dei due marinai arrestati con l’accusa di omicidio. Roma teme di non farcela più da sola a gestirla ed ha chiesto ufficialmente l’aiuto dell’Unione europea, che però reagisce con molta prudenza. Ieri è intervenuto il presidente del Consiglio Mario Monti, che ha parlato al telefono con premier indiano Manmohan Singh, ma non sono stati fatti passi avanti.
Monti ha diffuso una dichiarazione dai toni forti, ma resta la sensazione che l’Italia in questa vicenda si sia mossa tardi e male, non dando alla questione il peso che meritava sin dall’inizio, e forse è stata commessa qualche leggerezza nella tutela dei due marinai italiani nei confronti delle autorità indiane, in un momento particolarmente delicato per la politica di Nuova Delhi, con elezioni in corso in tutto il Paese. Non si è considerato che, come ribadito ieri ufficialmente dalle autorità locali, l’India “non riconosce l’immunità legale dei militari impiegati a bordo delle navi con funzioni anti pirateria”. Il governo italiano doveva saperlo, doveva saperlo l’armatore che ha fatto entrare la nave nelle acque territoriali indiane, doveva saperlo il console che ha fatto sbarcare i due marò. Ora la questione è più complessa e l’Italia ha bisogno dell’aiuto dell’Unione europea che, come spiegava ieri una fonte del Servizio esterno, quello diretto da Catherine Ashton, ha però l’esigenza “di bilanciare le sensibilità italiane e quelle indiane, altrimenti rischiamo di rovinare tutto”. Potrebbe non essere dunque un grande aiuto quello dell’Unione, considerando che Bruxelles sta negoziando con l’India un accordo di partenariato commerciale molto importante, visto che quella è una delle economie emergenti del mondo ed è un mercato di un miliardo di consumatori.
Mentre i due militari dal carcere dicono che “stiamo bene ma è dura”, il presidente del Consiglio afferma che “ogni atteggiamento da parte indiana non pienamente in linea con il diritto internazionale rischierebbe di creare un pericoloso precedente in materia di missioni internazionali di pace e di contrasto alla pirateria, missioni in cui sono impegnati anche militari indiani, mettendone a repentaglio l’efficacia e le capacità operative”. Un avvertimento, una chiamata alla condivisione della situazione. “Singh ha condiviso le preoccupazioni – continua la nota uscita da Palazzo Chigi – volte ad evitare che si creino tensioni tra India ed Italia e che la vicenda rechi pregiudizio alla collaborazione tra i due paesi e alle missioni internazionali di pace e di contrasto alla pirateria”. Una preoccupazione condivisa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha sottolineato che “per i militari che operano nel quadro delle risoluzioni Onu è necessario affermare il principio di immunità e giurisdizione nazionale”. Il capo della nostra diplomazia ha insistito che “si tratta di un principio ampiamente riconosciuto, ma che merita di essere affermato”. Per gli indiani non è così, e una fonte del governo ieri ha precisato che “l’accordo sui Vdp (Vessel Protection Detachement) non si applica a livello globale”, e che benché la decisione che le navi mercantili possano imbarcare dei militari fosse prevista nell’intervento anti pirateria di Ue Nato, questo “non costituisce alcuna base giuridica per l’India”.
Martedì gli eurodeputati italiani di Pd e Pdl (insieme) e Lega (Mario Borghezio), avevano chiesto con molto forza l’intervento dell’Unione europea, ed in particolare quello di Ashton. A quanto spiegava ieri una fonte molto vicina al presidente della Commissione europea, però Jose Manuel Barroso “non sapeva molto della questione” quando gli si è riferito del disappunto italiano per la prima reazione dello staff di Ashton che spiegava che la vicenda era da trattare “per via consolare”, cioè tra i due governi. Ieri c’è stato un cambio di passo e la portavoce della commissaria britannica ha detto che Bruxelles “vuole una soluzione soddisfacente al più presto”, e che la missione dell’Unione in India “segue la cosa sin dall’inizio”.