In Islanda nonostante le proteste pubbliche il Primo Ministro Sigmundur Gunnlaugsson annuncia che ritirerà formalmente la domanda di membership all’ l’Unione Europea all’inizio di questo nuovo anno, dopo aver bloccato i negoziati di adesione subito dopo la sua elezione, nel 2013.
L’annuncio arriva durante un’intervista alla stazione radio Bylgjan, e la dichiarazione di Gunnlaugsson è stata accompagnata dalla proposta di rimuovere i controlli sui capitali, in vigore dalla crisi finanziaria del 2008.
I cittadini islandesi da tempo manifestano perché vogliono potere scegliere se entrare o no nell’Unione europea, e contestano la decisione dell’esecutivo di ritirare la candidatura all’adesione senza tenere l’annunciato referendum popolare sul tema. I due partiti euroscettici, saliti al governo nel 2013, hanno concordato di ritirare formalmente la richiesta di adesione depositata dal Paese nel 2010, senza interpellare la popolazione.
Secondo alcuni sondaggi, la maggior parte dei cittadini dell’Islanda voterebbe comunque contro l’adesione del Paese all’Europa ma i cittadini vogliono poter esprimere la loro opinione, così come era stato promesso loro.
L’Islanda ha chiesto di entrare a fare parte dell’Ue nel 2010, sotto la guida del governo socialdemocratico, secondo cui fare parte del blocco europeo avrebbe portato al Paese stabilità economica dopo una pesante crisi finanziaria. A inizio 2013 Reykjavik aveva completato i negoziati su undici dei 33 capitoli previsti per l’adesione.
Poi però la vittoria, alle elezioni di aprile 2013, del Partito del Progresso e del Partito dell’Indipendenza, entrambi su posizioni antieuropee, ha cambiato radicalmente le cose in Islanda. Il nuovo esecutivo ha ufficialmente sciolto il comitato per i negoziati e ha comunicato l’intenzione di interrompere il processo di adesione. Rimaneva comunque la promessa di un referendum per sentire anche il parere dei cittadini che avendo visto la loro situazione economica migliorare hanno deciso di tornare ai governi precedenti a quello del risanamento. Un passaggio che ora il governo ha deciso di voler saltare ma a cui i cittadini non sembrano disposti a rinunciare.