“La Commissione è un organo politico, non burocratico, che prende decisioni politiche”. Jean-Claude Juncker, in un’intervista concessa ad alcune testate europee tra cui Repubblica e Finacial Times, spiega a tutto tondo il nuovo corso politico che l’esecutivo comunitario da lui guidato intende intraprendere nelle relazioni politiche con i Paesi membri. “Se sei presidente della Commissione europea”, ha aggiunto il lussemburghese, “devi saper ascoltare i Paesi e i loro governi”.
La volontà di imprimere alla Commissione una valenza e un ruolo più politico lo si intuisce da diversi passaggi di Juncker: “Ho chiesto al vicepresidente Dombrowskis di non tenere una conferenza stampa sulle prossime previsioni economiche”, ha affermato spiegando che “queste sono frutto di un lavoro tecnico fatto di percentuali e cifre. Se vogliamo la Commissione sia più politica non dobbiamo dare nessun endorsement a questo tipo di analisi tecnica”.
Quindi meno tecnicismi burocratici e più sostanza politica, nei confronti degli Stati membri. Se c’è un Paese il cui progetto di bilancio rischia di non rispettare i vincoli del Patto di stabilità, come Francia, Belgio e Italia, piuttosto che “applicare le regole, sanzionare e punire come sarebbe più semplice”, è preferibile “accordarsi su un calendario preciso di riforme economiche da implementare”. Come il capo dell’esecutivo comunitario dice di aver fatto con François Hollande, presidente della Repubblica francese, e il premier italiano Matteo Renzi. “Ho scelto di far parlare i premier e di ascoltarli”, ribadisce Juncker, nell’attesa, e speranza di Bruxelles, che attuino le riforme strutturali. “Hanno perfino scritto che il mio incontro con Renzi, a margine del vertice G20 di Brisbane, era andato male”, ha affermato il lussemburghese ai giornalisti, mentre “è stato proprio l’opposto: è andato benissimo”.
Disponibilità dunque a dialogare con i governi nazionali, mantenendo un approccio più attendista: “Devi capire che cosa sta succedendo anche nella politica interna di ciascuno stato membro”, ha spiegato Juncker. Ciò, tuttavia, non significa concedere una maggiore flessibilità, oltre a quella già consentita ai Paesi membri. “Se qualcuno continua a chiedere di cambiare le regole, è fuori dalla realtà” ha affermato lapidario il capo della Commissione, aggiungendo che “per due volte negli ultimi mesi il Consiglio europeo ha detto chiaro che non si cambiano le regole della disciplina fiscale, non ci stiamo assolutamente allontanando dalla strada del risanamento dei conti pubblici”.
Nel corso dell’Intervista Juncker è tornato anche sull’altro tema scottante del momento, quello dei presunti regimi fiscali favorevoli alle multinazionali – e contro le norme comunitarie sulla competitività – in Lussemburgo quando era premier del Gran Ducato, rammaricandosi di non aver cambiato le regole per consentire al governo di controllare meglio i regimi di imposte per le multinazionali. “Avrei dovuto avere uno sguardo più attento sui tax rulings”, ha riconosciuto il leader della Commissione. Il suo intento, ha spiegato, era quello di “diversificare l’economia lussemburghese che si basava troppo su un’industria bancaria monolitica”, riuscendo ad attrarre nel Paese quelle che definisce “compagnie orientate al futuro come Amazon, Aol”. Ma le relative decisioni sulle tassazione dei loro profitti, ha concluso Juncker, “non furono prese dal mio governo”.