Ritorno a scrivere nella rubrica “Europa posa’t guapa” dopo più di un mese, chiedo venia, solo per condividere con voi l’entusiasmo che centinaia di rumeni espatriati, come me, hanno vissuto nella lunga giornata di due domenche fa. Lunga a causa delle elezioni presidenziali che prevedevano, per l’appunto domenica 16 novembre, il secondo turno elettorale. Lunga perché, per poter esprimere la propria scelta, queste centinaia di migliaia, sottoscritto incluso, hanno dovuto passare tre ore, nei casi più fortunati, sotto la pioggia ed il freddo di Bruxelles-Parigi-Monaco-Torino-ovunque fuori dalla Romania. Lunga perché questi si sono poi dovuti ribellare per la coda e perché moltissime migliaia non sono riusciti a votare prima dell’orario di chiusura dei seggi – ore 21 – e perché per il governo nazionale rumeno era come se fosse meglio non avere i loro voti. Il risultato delle elezioni è noto ed il futuro presidente mi interessa relativamente poco di per se’ come nome e volto. Il mio timbro domenica, quell’inchiostro blu che ho appoggiato sulla mia schedina elettorale, ha lasciato il segno nella mia esperienza democratica ed ha scelto più del singolo nome.
In un periodo di crisi democratica, freschi della scarsa partecipazione elettorale alle elezioni europee, la scorsa domenica ha rappresentato per me un’epifania, un simbolo di speranza. Migliaia di persone in religiosa attesa davanti ad un portone, un centinaio almeno di metri di coda, i più lunghi cento metri della mia vita, quei cinque passi -a contarli- ogni dieci minuti e la speranza. I panini, il caffè, le sigarette, qualcuno col tricolore blu-giallo-rosso, i cellulari accesi sulle notizie in diretta dalle reti rumene e poi speranza. Non ho visto crisi domenica su Rue Montoyer, e questo è quello che più mi ha sorpreso, eppure quelle persone a cui camminavo a fianco erano per lo più operai non qualificati che hanno dovuto lasciare il proprio paese in cerca di una vita migliore. Non ho visto crisi perché la crisi la si crea, non la si vive. Ho sentito invece le risa dei bambini e dei loro genitori, gli scambi di pronostici e la gente che voleva votare nonostante la coda; nonostante il governo nazionale non avesse fatto nulla di più per permettere loro di votare più facilmente e proprio per questo: perché sono quattro milioni all’estero ed i loro investimenti costituiscono una parte ingente del PIL della Romania e cosi la loro voce dovrebbe. Perché volevano un cambiamento e si sono ricordati che per averlo bisognava chiederlo. Domenica sera in piazza a Bucarest c’erano soprattutto giovani, la maggior parte di loro -come me- non hanno nemmeno vissuto la Rivoluzione del 1989, ma hanno capito che è arrivato il loro turno, che la Romania ha bisogno della loro voce e dei loro polsi fermi per riscrivere la propria storia, nazionale ed europea.
Non ho parlato del singolo candidato perché, almeno per me, rappresenta poco più di un nome. Spero solo che sarà all’altezza dell’atto di bellezza che lo ha consacrato presidente.