Il piano per gli investimenti di Jean-Claude Juncker parte con tante belle speranze e pochi mezzi: dentro per ora ci sono pochi soldi e nessun progetto, ma troppi ci vogliono entrare.
Supera ogni aspettativa, nel bene e nel male. Ora la Commissione europea guidata dal lussemburghese si troverà a dover chiedere soldi ai governi nazionali innescando un dibattito dagli esiti incerti. Non solo. L’esecutivo comunitario dovrà fare i conti anche “politici” con le richieste che dalle ventotto capitali sono arrivate. Ieri tutti i paesi hanno presentanto la lista dei progetti da finanziare con i soldi del piano Juncker. Si parla di progetti per un valore complessivo di circa 1.100 miliardi di euro, praticamente tre volte quello che Jean-Claude Juncker riuscirà a finanziare. Le aspettative legate al piano erano tante, forse giustificate forse no. Fatto sta che in Commissione europea sanno che buona parte del lavoro dovrà essere fatto sulla lista faraonica dei progetti da finanziare. “Per prima cosa dobbiamo selezionare i progetti”. Un compito non facile. Si valeranno “merito” e “fattibilità” delle proposte, senza tener conto di quote nazionali. A nessuno spetta nulla di diritto, in sostanza.
Gli Stati iniziano a farsi i loro calcoli. A quanto pare anche l’Italia sta meditando di riscrivere la lista di progetti, che attualmente conta con qualcosa come 400 e passa idee. Troppe, visto che sul piatto ci sono appena ventuno miliardi di euro, e neppure tutti liquidi. Il nostro paese si aspettava che nel piano ci fosse qualcosa di più, o quanto meno ci sperava. Ma del resto, come ha fatto notare il capogruppo dei liberali, Guy Verhofstadt, “non ci sono margini per metterci soldi pubblici, quindi creare uno schema di garanzie è la cosa giusta da fare”.
La real-politik impone dunque un ripensamento, e non è escluso che nei prossimi giorni revisioni dei desiderata possano essere recapitate a Bruxelles, dove a questo punto avranno un bel da fare per convincere i paesi membri a mettere mano al portafogli. E’ vero, Juncker promette di escludere dal patto di stabilità il contributo nazionale al nuovo Fondo europei per gli investimenti strategici (Feis), ma il fatto che si premierà la qualità del progetto non assicura ai governi che l’eventuale cifra che si metterà all’interno del Feis tornerà indietro. Si rischia, in sostanza, di mettere risorse con cui fare la felicità altrui e non la propria. Anche per questo i paesi starebbero già soppesando il piano Juncker e la lista della spesa. Non certo per aiutare la Commissione nel ruolo di scrematura dei progetti, ma per cercare di assicurarsi che quel poco che c’è in un piano che a oggi resta un incognita.