Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma tant’è. Un gruppo di giornalisti riuniti nell’International Consortium of Investigative Journalists ha pubblicato un’inchiesta (in verità sembra che si siano divisi la lettura di 28,000 pagine riservate rubate alla multinazionale PwC, PricewaterhouseCoopers, la società che fornisce servizi professionali di revisione e di consulenza legale e fiscale alle imprese, impiegando circa 200,000 persone) in cui hanno scoperto – sorpresa, sorpresa! – che il Granducato di Lussemburgo è uno dei luoghi preferiti dalle imprese multinazionali per eludere il fisco. I giornalisti hanno potuto leggere con i propri occhi le complesse architetture finanziarie che sono state costruite dai consulenti della PwC per fare in modo che le multinazionali non paghino le tasse nei paesi in cui effettivamente operano, producono e commercializzano i loro prodotti.
Si è scoperto così che molte imprese transnazionali, aprendo filiali in Lussemburgo – spesso nient’altro che una targa di ottone su un portone – e facendo degli accordi personalizzati con il fisco del Granducato, chiamati Advance Tax Agreements, spesso hanno pagato meno dell’1% sui profitti fatti confluire in Lussemburgo. Tra il 2002 e il 2010 sono state 548 le imprese che hanno firmato questo tipo di accordi, comprese Fiat Finance and Trade e Amazon, nei cui confronti il nuovo commissario alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha aperto un’indagine per aiuti di stato illegali.
Il nuovo Presidente Jean-Claude Juncker non si è mostrato sorpreso – essendo stato primo ministro del Lussemburgo dal 1995 al 2013, avrebbe fatto ridere se lo avesse fatto – ma ha subito ribadito, in perfetta consonanza con il governo del Granducato, che tutti gli accordi sono perfettamente legali sia per la legge del suo paese, sia per il diritto internazionale e per le norme stabilite dall’Ocse. Ma allo stesso tempo ha dichiarato che non porrà nessun ostacolo alle indagini della Commissaria Vestager, anche se non si capisce se la appoggi fino in fondo quando quest’ultima – molto saggiamente – sostiene che “le tasse sulle società dovrebbero essere ovunque le stesse”.
Secondo noi, il nuovo presidente della Commissione dovrebbe andare oltre la sua posizione attuale e dichiarare ufficialmente che il dumping fiscale, ancora normalmente praticato da vari governi europei – oltre al Lussemburgo, altri due paradisi fiscali sono l’Olanda e l’Irlanda –, sia ormai un comportamento inaccettabile in un’Europa in fase di austerity fiscale da anni. Come bene ha detto Gianni Pittella, a capo dei Socialisti europei, Juncker deve dire con chiarezza ed esplicitamente “da che parte sta, dalla parte dei cittadini europei o dalla parte dei grandi evasori fiscali?”
Un primo passo nella direzione giusta è stato fatto lo scorso mese quando i ministri delle Finanze dell’Ue si sono messi finalmente d’accordo – dopo anni e anni di tentativi inutili, soprattutto per la strenua resistenza del Lussemburgo e dell’Austria – per passare una legislazione per cui i 28 paesi dell’Ue dovranno rendere trasparenti i conti aperti da persone residenti in altri stati. Molti ritengono che questo possa essere un potente strumento per ridurre l’evasione fiscale, soprattutto in paesi in cui questa è cronica come l’Italia. Il Lussemburgo si è detto d’accordo a far conoscere alle autorità fiscali degli altri paesi i conti aperti dai residenti di nazionalità non lussemburghese entro il 2017. Ora è rimasta solo l’Austria, che ha richiesto un’estensione fino al 2018.
A questo punto, la nuova Commissione dovrebbe firmare al più presto accordi bilaterali con il Principato di Monaco, la Svizzera e il Lichtenstein, che rimangono fuori dalla giurisdizione europea, altrimenti l’abolizione del segreto bancario all’interno dell’Ue potrebbe non dare i frutti che ci si aspetta. Non dimenticando poi che esistono decine di paradisi fiscali fuori dall’Europa.