“Grazie alla creazione di strutture finanziarie complesse e accordi segreti, approvati dal Tax office del Lussemburgo ai tempi in cui Jean-Claude Juncker era primo ministro, molti giganti aziendali hanno goduto di regimi fiscali agevolati, o di una vera e propria ‘evasione fiscale’ facendo perdere miliardi di entrate tributarie ai governi nazionali dei paesi in Europa”. Scoppia il caso “Luxembourg leaks”, a seguito della pubblicazione di 548 documenti da parte del “Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi” (Icij) sugli “accordi segreti ” in materia di imposizione fiscale tra 343 aziende e le autorità del Granducato, che sebbene forse legali a livello nazionale, potrebbero avere violato le norme comunitarie sulla concorrenza e gli aiuti di stato.
Il presidente della Commissione europea, proprio all’inizio del suo mandato, si trova così a dovere affrontare una questione spinosa, non solo perché l’esecutivo Ue è incaricato di vigilare sulle norme europee della concorrenza, ma anche poiché Juncker all’epoca dei fatti era il premier e ministro delle Finanze del governo lussemburghese.
Fra le aziende coinvolte in Luxembourg leaks, provenienti da 12 paesi, figurano colossi mondiali come Apple, Ikea, Pepsi, ma anche diverse italiane tra cui Finmeccanica, Unicredit Group e Gruppo Sanpaolo.
Le società, “per risparmiare miliardi di tasse sui profitti”, si legge nel report di Icij, facevano transitare miliardi di dollari attraverso il Lussemburgo, pagando spesso non più dell’uno per cento di imposte sui profitti depositati nelle banche del Granducato.
I documenti pubblicati dimostrano come Pricewaterhouse Coopers, agenzia di consulenza fiscale tra le più grandi al mondo, ha aiutato le aziende multinazionali nell’elaborare strategie finanziarie al fine di ottenere regimi fiscali favorevoli in Lussemburgo dal 2002 al 2010. Per permettere alle aziende di far transitare profitti attraverso il Granducato, veniva dapprima costituita una società controllata in loco, per poi creare strutture finanziare complesse per godere di drastiche riduzioni nelle imposte sui profitti, anche sotto l’1%, spostando gli utili dai paesi d’origine al Lussemburgo.
Alle compagnie venivano fornite assicurazioni scritte (comfort letters) sul fatto che “i piani di risparmio delle imposte sarebbe stati approvati dalle autorità lussemburghesi”, cosa che puntualmente avveniva.
Per fare un esempio concreto, il rapporto cita il caso della società americana FedEx Corporation, che con la consulenza di Pricewaterhouse ha creato due “affiliate” in Lussemburgo per spostare lì i profitti dagli stabilimenti messicani. Il Granducato avrebbe acconsentito di “tassare solo un quarto dell’1% di questi utili, lasciando “tax-free” il restante 99,75%”.
In moltissimi casi, le controllate delle aziende presenti in Lussemburgo, che gestivano centinaia di milioni di dollari in affari, mantenevano nel Paese solo una “piccola presenza e piccole attività economiche”, per cui presso uno stesso indirizzo poteva figurare la sede di più di milleseicento compagnie.
Inevitabile che alle pubblicazioni del Consorzio siano seguite polemiche. Da più parti si chiede alla Commissione europea un chiarimento della vicenda, considerando anche il fatto che il neo presidente Juncker all’epoca della vicenda era premier del Lussemburgo. Molti gruppi parlamentari (ma non i popolari, partito dell’ex premier) hanno invitato la Commissione a riferire in Aula, mentre il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si dice “preoccupato di come le operazioni denunciate erano palesemente legali in alcuni paesi” e esorta a “lavorare per mettere fine alle pratiche di evasione sistematica delle tasse, in Lussemburgo come in altri paesi”.
Juncker ha dichiarato che “si asterrà” dall’intervenire sulle indagini, e il portavoce dell’esecutivo comunitario Margaritis Schinas ricorda che la Commissione è incaricata dai trattati di vigilare sulla concorrenza leale nel mercato europeo pertanto il Commissario alla Concorrenza Margarethe Vestager “porterà avanti l’inchiesta ed è in già contatto con le autorità lussemburghesi”.
Nei mesi scorsi la Commissione europea aveva avviato indagini nei confronti su Apple, Starbucks e Fiat , per valutare il loro regime fiscale in Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo. Successivamente erano finite sotto la lente di Bruxelles le decisioni delle autorità tributarie, sempre del Lussemburgo, in materia di imposte sul reddito che dovevano esser versate da Amazon, per valutare se fossero conformi o meno alle norme UE sugli aiuti di Stato.