Realizzare un ‘secondo welfare’ in Europa, è questo l’obiettivo che si è dato il Cese (Comitato economico e sociale europeo). L’idea di partenza è che i sistemi di Stato sociale dei Paesi europei necessitino “di importanti riforme basate su una maggiore efficienza”. Lo ha spiegato Luca Jahier, presidente del Terzo gruppo del Cese, in apertura della conferenza che si è svolta ieri, a Milano, per discutere di ‘innovazione sociale’. Ovvero soluzioni promosse da soggetti non pubblici, che si affianchino agli Stati per formare una rete di tutele e assistenze ai cittadini. L’incontro, ha proseguito Jahier, è stato voluto per “formulare concrete proposte per le istituzioni europee”.
La conferenza ha prodotto una dichiarazione finale indirizzata alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio europei. Il documento descrive un “paesaggio sociale nuovo e fragile” in Europa, determinato dal perdurare della crisi economica, dall’aumento della povertà e dell’esclusione sociale, e dai nuovi bisogni dei soggetti più svantaggiati. Da questa situazione, prosegue il testo, è emerso un dibattito su “nuove forme di prestazioni sociali” che vanno sotto l’etichetta di “secondo welfare”.
La dichiarazione chiede che “l’innovazione sociale e la politica degli investimenti” in questo settore vengano integrati “in modo esplicito nella revisione della strategia Europa 2020”. Gli estensori delle proposte chiedono che Eurostat assuma il compito di “raccolta di dati sull’innovazione nella politica sociale” per misurarne l’impatto nei Paesi membri. Gli stessi Stati membri sono poi “invitati a riferire sui progressi” in questo ambito. Alla Commissione e ai 28 Stati dell’Unione si chiede di utilizzare “gli appalti pubblici e i fondi strutturali per sostenere l’innovazione sociale” e le imprese che vi contribuiscono. Infine, viene proposta l’istituzione di “un gruppo di lavoro ad alto livello sull’innovazione sociale”.
Il ‘secondo welfare’ muove dal principio di sussidiarietà, secondo il quale i privati devono concorrere con le istituzioni pubbliche per realizzare l’offerta di servizi. In questo caso si opera nel campo sociale. Fondazioni bancarie, assicurazioni, fondi pensionistici, organizzazioni e associazioni non profit sono tutti soggetti attivi della “innovazione sociale”. La caratteristica del secondo welfare, infatti, è di “mobilitare risorse non pubbliche aggiuntive”. Proprio perché l’intenzione è “integrare, non sostituire, le prestazioni del ‘primo welfare’ erogate dallo Stato”.
E’ un elemento sottolineato anche da Giuliano Galletti. “Pensiamo a una funzione che integra e arricchisce” i servizi offerti dal Pubblico, ha spiegato il ministro del Lavoro, secondo il quale si tratta di una vera e propria rivoluzione, anche culturale. Perché “il welfare storicamente basato su due pilastri, il Pubblico e il volontariato, consentiva di non porci troppo il problema dell’efficienza e dell’efficacia” dei servizi rispetto alle risorse impiegate, ha argomentato Poletti. Mentre l’introduzione “dell’imprenditoria sociale – secondo il ministro – ci costringe a misurare l’efficienza, l’efficacia e il rischio” legati agli strumenti del nuovo welfare.
Esempi di questi servizi aggiuntivi sono rappresentati dall’housing sociale, che prevede il sostegno all’acquisto o all’affitto di una casa a condizioni agevolate, e si rivolge a famiglie che non avrebbero la possibilità di accedere alle condizioni del libero mercato. Un altro esempio sono i servizi di assistenza per la ricerca di un nuovo impiego per chi è stato licenziato, o per l’inserimento di chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro. C’è poi l’assistenza domiciliare per i soggetti non autosufficienti. O ancora, l’accessibilità a prestazioni ambulatoriali per le quali i costi sono troppo elevati nel settore privato, e nel pubblico le liste di attesa sono interminabili. Questi e altri “servizi che ancora non sono stati neppure pensati”, come hanno sottolineato diversi relatori intervenuti, sono gli elementi costitutivi del “secondo welfare”.
Non mancano però alcuni timori. E’ stato Maurizio Ferrera, ordinario di Scienza politica all’Università di Milano, a parlarne. Il professore, che con la collega Franca Maino ha condotto uno studio sul sull’innovazione sociale, ha parlato del “rischio di incastri distorti tra il primo e il secondo welfare”. La distorsione principale da evitare, secondo Ferrera, è che “i governi scarichino sul secondo welfare compiti che dovrebbero essere assolti dallo Stato”. E’ la preoccupazione anche di chi, in questa ‘innovazione sociale’, vede il grimaldello per scardinare i sistemi di welfare pubblico, da decenni fiore all’occhiello dei Paesi europei, in favore di una assistenza demandata ai privati.