Noi di solito non seguiamo i talk-show e conosciamo poche persone che lo fanno. Ma casualmente, la settimana scorsa, ci è capitato di assistere alla puntata di uno talk dei più popolari dedicato interamente ai rischi posti all’Italia e a Roma dal “Califfato islamico”, il famigerato Isis. Guardando il programma, uno digiuno di geopolitica ne avrebbe dovuto concludere che l’esercito del Califfo è ormai alle porte di Roma ed infatti il conduttore ha effettuato numerosi collegamenti con la comunità islamica di Centocelle per cercare di capire entro quanto tempo l’Isis avrebbe messo la bandiera in cima alla cupola di San Pietro.
Ma che pericolo rappresenta l’Isis per l’Occidente, l’Italia, le imprese e i loro interessi? È difficile naturalmente farsi un’idea precisa di quello che sta succedendo tra Iraq e Siria, soprattutto se uno dovesse fare affidamento alle notizie riportate dai nostri quotidiani. Non avendo notizie di prima mano, possiamo solo affidarci a quello che riportano le fonti giornalistiche più prestigiose. L’Economist di Londra, ad esempio, ha scritto di recente che alcune importanti multinazionali petrolifere (General Energy, DNO e Gulf Keystone) continuano tranquillamente a pompare petrolio nel territorio curdo controllato da Baghdad, che poi esportano facilmente in Turchia, attraverso gli oleodotti perfettamente funzionanti o addirittura su strada.
Neanche il valore in borsa a Wall Street di queste società sembra sia stato particolarmente toccato dai rischi posti dal Califfo. È vero che c’è stata una flessione dopo che gli insorti hanno conquistato Mosul a giugno, ma poi di recente hanno recuperato gran parte delle perdite. Sospettiamo che nessuno dei componenti del consiglio di amministrazione di queste società abbia fatto sopralluoghi operativi sul campo e probabilmente l’unico brivido arrecato loro dai jihadisti è stato quello di qualche grafico col verso all’ingiù (ora nuovamente all’insù).
Anche la multinazionale francese Lafarge, il gigante francese del cemento che ha grosse operazioni in tutto il Medio Oriente, non ha risentito della guerra in corso. Il fatturato continua a crescere e i profitti (circa 1.5 miliardi l’anno) non languono. L’operatore di telefonia mobile sudafricano MTN con società operative in Siria e Iraq ha addirittura registrato una fenomenale crescita dei profitti (+56%) nei primi 6 mesi dell’anno.
Conclusione: le multinazionali, almeno, per ora non temono il Califfato. E, a dire la verità, neanche noi romani, nonostante l’allarme del prestigioso giornalista conduttore del talk-show.