Per uscire dalla crisi economica è necessaria una strategia comune. L’opinione è unanime tra i rappresentanti dei parlamenti europei che si sono trovati lunedì 29 a Roma, nell’Aula di Montecitorio, per la Conferenza interparlamentare prevista dall’articolo 13 del Fiscal compact. Su quale debba essere questa strategia, però, la visione non è così unitaria. Come prevedibile, i Paesi con maggiori problemi di crescita e occupazione spingono per porre l’attenzione sugli investimenti, attraverso politiche di stimolo a livello comunitario e la creazione di strumenti comuni come i project bond. Dall’altro lato i paesi più ‘virtuosi’, che continuano a porre l’accento sulla necessità di consolidare i conti pubblici.
Aprendo i lavori della conferenza, Laura Boldrini ha rivolto il suo appello a “voltare pagina” rispetto alle politiche di austerity. La presidente della Camera ha lamentato il fatto che finora sia stato “demandato ai singoli Stati membri il compito di mettere in campo misure per la crescita a livello meramente nazionale”. Mentre servirebbe “una risposta comune”.
Dello stesso parere Francesco Boccia, che in qualità di presidente della commissione Bilancio della Camera ha presieduto la prima sessione di lavoro della conferenza. Secondo Boccia, “la crisi va risolta in Europa”, perché “le due principali leve sono bloccate rispetto alle competenze nazionali”. Il riferimento, ha precisato Boccia, è alla “politica monetaria, di competenza della Bce”, e alle “politiche fiscali, condizionate dai vincoli del patto di stabilità”.
Anche secondo Pier Carlo Padoan, per uscire dalla crisi è necessaria una “strategia comune per la crescita”. Il ministro dell’Economia ha parlato di un “nuovo approccio”, che non deve essere basato “solo sull’austerità” ma “su un policy mix”. La sua idea è che sia necessario “intervenire da tutti i lati: quello della domanda e quello dell’offerta”. Nel “mix” indicato da Padoan ci sono diversi strumenti: aumentare la liquidità, fare le riforme strutturali, integrare i mercati. Il tutto all’interno di un progetto comune di “governance della crescita”, per il quale però “mancano le istituzioni”. O meglio, ha precisato il ministro, “l’istituzione europea c’è: è il Patto di stabilità e crescita”. Tuttavia, ha sottolineato ancora, “i risultati di questa istituzione in termini di crescita ancora non si vedono, o si vedono assai poco”.
Sulla governance si è concentrato anche Roberto Gualtieri. “Affrontare il tema delle policy senza discutere della governance dell’economia – secondo il presidente della commissione Economica del Parlamento europeo – rischia di vanificare il dibattito”. Per Gualtieri è necessario “valutare l’adozione di strumenti innovativi come i project bond”, che consentirebbero di realizzare investimenti indispensabili per il rilancio dell’occupazione e lo stimolo della crescita.
Sulla creazione di questi nuovi strumenti, però, c’è l’opposizione degli Stati più virtuosi. Si tratta di quei Paesi, generalmente del Nord Europa, che sono riluttanti a finanziare la crescita dei partner più deboli. Questa posizione è stata riassunta bene dall’intervento del Finlandese Sampsa Kataya, secondo il quale “non è stata l’austerity a provocare la crisi, ma l’eccesso di debito”. Per Kataya, “prima di pensare a nuovi strumenti, che creerebbero ulteriore debito, è necessario che tutti i paesi si allineino su un basso livello di deficit dei conti pubblici”.