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    Home » Politica Estera » Iglesias: “Essere equidistanti tra israeliani e palestinesi significa stare dalla parte di Israele”

    Iglesias: “Essere equidistanti tra israeliani e palestinesi significa stare dalla parte di Israele”

    Il leader di Podemos: “È come voler stabilire una sorta di neutralità tra i resistendi del ghetto di Varsavia che nel 1943 si opposero all'esercito tedesco e l'esercito tedesco stesso. È un discorso pericoloso che va contro la pace”

    Alfonso Bianchi</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@AlfonsoBianchi" target="_blank">@AlfonsoBianchi</a> di Alfonso Bianchi @AlfonsoBianchi
    13 Settembre 2014
    in Politica Estera
    Pablo Iglesias durante la missione in Palestina

    Pablo Iglesias durante la missione in Palestina

    Quello sull’equidistanza tra Israele e Palestinese “è un discorso pericoloso che dobbiamo denunciare”. Nella conferenza stampa al Parlamento di bruxelles, organizzata al termine di una missione a Gerusalemme e in Cisgiordania a cui ha preso parte con altri dodici eurodeputati della Sinistra Unita Gue, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, chiede di poter parlare in spagnolo “perché voglio poter essere molto chiaro e preciso”. “Gli israeliani – esordisce – hanno avuto in questo conflitto 69 vittime, di cui 66 sono militari. Secondo dati della Onu le vittime palestinesi sono state 2.145 di cui 1460 civili e più di 500 bambini”. In un contesto come questo “stabilire una sorta di equivalenza tra palestinesi e israeliani è come stabilire una sorta di equivalenza o neutralità tra i resistenti del ghetto di Varsavia che nel 1943 si opposero all’esercito tedesco e lo stesso esercito tedesco”. Per questo per Iglesias “la comunità internazionale non può restare equidistante in questo conflitto”, in quanto “l’equidistanza significa dare ragione a Israele”, dare ragione “a un Paese che viola la carta delle nazioni unite e non rispetta la La risoluzione 242 dell’Onu che gli intima di abbandonare i territori occupati nel 1967”. Ogni discorso che mira a stabilire “una sorta di equivalenza o equidistanza” tra palestinesi e israeliani per lo spagnolo “è un discorso che va contro la pace, contro la carta delle nazioni unite e contro la sicurezza del vicino oriente e dei popoli europei”.

    Non è quindi valido l’argomento di Tel Aviv che ha motivato i 51 giorni di bombardamenti su Gaza con il diritto a difendersi dagli attacchi di Hamas. “La verità è che gli attacchi sono partiti dopo la formazione di un governo di unità tra Fatah e Hamas. È stato allora che abbiamo sentito dire agli israeliani di non avere un partner con cui discutere di Gaza, e tutto mentre erano in corso i dialoghi di pace con John Kerry”, aggiunge Martina Anderson dello Sinn Fein. “L’Occupazione deve finire”, dichiara, puntando anche lei il dito contro la comunità internazionale: “Non è possibile che seppur le colonie israeliane siano definite illegali in termini di diritto internazionale e umanitario il mondo resti a guardare e non faccia niente più che condannare. Per le Nazioni Unite e l’Ue è arrivato il momento di fare di più. Abbiamo una responsabilità verso quei bambini, e sono migliaia, che sono stati feriti o uccisi. Dobbiamo assicurarci che in futuro non ci sia mai più un altro attacco a Gaza come quello che c’è stato il mese scorso”.

    Ma l’apertura di un tavolo di trattative tra il governo israeliano e i vertici di Hamas non è affatto facile. “Io vengo dall’Irlanda del nord – conclude Anderson – Anche noi abbiamo avuto un conflitto terribile e ci siamo uccisi a vicenda. Io lo so che la pace è difficile ma so anche che per raggiungerla bisogna sedersi a un tavolo, avere un partner nelle discussioni e trattare in buona fede”.

    Tags: cisgiordaniagazagerusalemmeguehamasisraeleMartina AndersonPablo IglesiaspalestinaPodemosSinn FéinTel Aviv

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