Bruxelles – Il Green Deal europeo ha di fronte a sé tante sfide, tutte diverse, ma la più impegnativa sembra essere quella del suo finanziamento. Servono tante risorse, soprattutto private, e l’Unione europea, nonostante un mercato unico, non sembra essere attrezzata per ‘fare gola’ agli investitori. Serve un cambio di passo, e un ragionamento diverso, magari ‘copiand0’ il modello statunitense e istituendo un’Agenzia europea per i progetti che servono alla doppia transizione verde e digitale. E’ questo il quadro offerto dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), nel suo ultimo rapporto su investimenti e sostenibilità.
L’attuazione del Green Deal europeo richiede “un’enorme quantità di investimenti, circa 520 miliardi di euro all’anno tra il 2021 e 2030”. A tanto ammontano i calcoli dell’EEA. Badare bene: si tratta di investimenti “aggiuntivi” a quanto già preventivato. Di questi 520 miliardi di euro, 390 miliardi all’anno (corrispondenti a circa il 2,7 per cento del Pil nel 2021), andranno a decarbonizzare l’economia e, in particolare, il settore energetico, compresi gli investimenti relativi all’energia nei settori dell’edilizia e dei trasporti. Questo “enorme” aumento di oltre il 50 per cento, rispetto alla storica tendenza agli investimenti in energia, sosterrà anche gli sforzi dell’Ue per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e creare posti di lavoro, ridurre le bollette energetiche delle famiglie e dell’industria e migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica.
Ma il costo della rivoluzione sostenibile dell’Ue non si esaurisce qui. Vanno considerati e aggiunti “ulteriori investimenti per aumentare la capacità dell’Ue di produrre tecnologie nette pari a circa 92 miliardi di euro dal 2023 fino al 2030”. In questo contesto, e con una mole tale di soldi necessari per tradurre in pratica l’agenda a dodici stelle, “la finanza privata sarà fondamentale per il successo della transizione”.
L’Ue però non sembra essere dotata dell’ambiente migliore per intercettare tutte queste risorse. Ancora troppa frammentazione, ancora logiche troppo nazionali. Per essere leader nel settore delle ‘clean-tech’ e fare del Green Deal una storia di successo, “l‘Ue deve assumere una prospettiva di ‘unico mercato’ per sviluppare una politica industriale verde completa”, rileva ancora l’Eea. Al fine di “ottenere una potenza competitiva a livello globale e pulita”, l’Unione europea “non può fare affidamento su misure nazionali frammentate poiché queste non guideranno gli investimenti privati in tecnologie pulite alla scala e alla velocità necessarie”. Da qui il suggerimento di emulare i partner d’oltre oceano, comunque concorrenti.
“L’Ue potrebbe seguire gli Stati Uniti istituendo un’istituzione simile all’Agenzia statunitense per i progetti di ricerca avanzata con il mandato di promuovere progetti di sviluppo ad alto rischio e in fase iniziale per le nuove tecnologie pulite”. Un’esigenza non più rinviabile, secondo gli esperti dell’Agenzia europea dell’ambiente. “La competitività industriale dell’Europa deve essere rafforzata, a partire dalla tecnologia pulita, in un panorama internazionale caratterizzato da politiche industriali più aggressive”. Un riferimento implicito alla Cina e alla decisione di mettere un freno all’export di materie prime fondamentali per la transizione, ma pure ai sussidi Usa incardinati nell’Inflation Reduction Act, il piano da circa 369 miliardi di dollari varato dall’ammnistrazione Biden che tocca da vicino il settore delle tecnologie verdi.