Bruxelles – Nessun progresso degno di nota, per il momento i quasi 30 miliardi di euro dei fondi Ue all’Ungheria rimangono congelati. “Abbiamo cercato di trovare soluzioni, siamo al 7 novembre e non c’è nulla da aggiungere, non ci sono sviluppi soddisfacenti che ci consentirebbero di dare una valutazione positiva”, parola del commissario per il Bilancio, Johannes Hahn, nel corso di un’audizione alla commissioni congiunte per il Controllo dei bilanci (Cont) e per i Bilanci (Budg) del Parlamento Europeo.
Convocato insieme al collega responsabile per l’Occupazione e i diritti Sociali, Nicolas Schmit, dopo le indiscrezioni emerse da fonti dell’esecutivo comunitario a Financial Times su un possibile accordo tra il gabinetto von der Leyen e Budapest per lo sblocco di 12,9 miliardi di euro in cambio dell’appoggio finanziario all’Ucraina, il commissario austriaco ha escluso che ci sia “alcun accordo parziale prima di quello finale” e ha messo in chiaro che “non si negozia, ma si valuta e si chiarisce”. Lo stesso Hahn ha criticato la stampa per aver “ripreso a catena” l’articolo del quotidiano britannico sulla possibile intesa sullo scongelamento dei fondi per non ostacolare la revisione del quadro finanziario pluriennale: “Con l’unanimità si possono rallentare le cose, ma non possiamo essere ricattati o paralizzati“.
A proposito invece dei fondi veri e propri, il responsabile per il Bilancio dell’esecutivo Ue ha ribadito che “la palla è nel campo dell’Ungheria“, a partire dal meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto. Le misure “importanti” adottate finora da Budapest – “l’istituzione di un’autorità sull’integrità, i ricorsi contro le decisioni del procuratore di archiviare un caso e le strutture più chiare” – a oggi “non sono state formalmente notificate” e per questo motivo il budget comunitario “resta a rischio”. Al più tardi il prossimo 15 dicembre la Commissione dovrà rivalutare la decisione del Consiglio di congelare 6,3 miliardi di euro, ma quello che emerge dalle parole del commissario Hahn è che ci sono stati “pochi progressi”, nonostante “il dialogo intenso e i contatti costruttivi a livello di esperti”. Ma ancora prima della valutazione dell’esecutivo comunitario, basterebbe un “impegno attivo” da parte dell’Ungheria, da cui ci si aspetta una notifica scritta per chiedere la revoca delle misure: “In questo caso la Commissione ha un mese per decidere se proporre al Consiglio di adottare o revocare le misure”.
Oltre al meccanismo di condizionalità c’è molto di più. “Fondi di coesione, fondi della pesca e fondi Affari interni devono rispettare 4 condizioni orizzontali e 16 condizioni tematiche“, ha voluto ricordare il commissario Schmit. Si tratta di condizioni che “devono essere rispettate all’inizio del periodo di programmazione e per tutto il periodo di esecuzione”, in particolare quelle legate alla Carta dei diritti fondamentali: “L’attuazione del programma deve essere in linea con tutti i principi”. Se dall’auto-valutazione dell’Ungheria è emerso l’allineamento alle condizioni abilitanti, la Commissione non è stata dello stesso avviso per quattro punti problematici: “L’indipendenza del sistema giudiziario, la legge che proibisce l’accesso a contenuti che mostrano omosessualità per ragazzi al di sotto dei 14 anni, i seri rischi alla libertà accademica e quelli nell’ambito della politica di asilo”.
È così che l’Ungheria si è vista congelare altri 16,5 miliardi di euro, per non aver “mai spiegato quali misure vuole adottare per rispettare la Carta”. La Commissione Europea non può sborsare pre-finanziamenti se non c’è il rispetto delle condizioni abilitanti e il 18 luglio la nuova auto-valutazione di Budapest si è concentrata solo sulle questioni relative al sistema giudiziario. Come reso noto dal commissario lussemburghese, il 19 ottobre il governo guidato da Viktor Orbán ha risposto alla richiesta di chiarimenti sui dettagli delle riforme inviata dalla Commissione il 26 settembre. Dopo la valutazione da parte dei servizi del Berlaymont, “la settimana scorsa io e il commissario Didier Reynders [responsabile per la Giustizia, ndr] abbiamo risposto che non sono state fornite informazioni sufficientemente chiare per concludere la valutazione“.
Tutti i fondi congelati dell’Ungheria
I fondi Ue destinati all’Ungheria che attualmente sono congelati da Bruxelles si attestano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022. Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi sono vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e sono quelli che potrebbero essere sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non basterà mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), ma dovranno essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali, come le potenziali violazioni dei diritti umani.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario, si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). E il conto arriva a quei 28,6 miliardi di euro congelati, che la Commissione potrebbe decidere presto di dimezzare per assicurarsi il sostegno dell’Ungheria alla revisione del bilancio comune Ue e al supporto finanziario sul lungo termine all’Ucraina.