Bruxelles – Se il piano d’azione per Lampedusa presentato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ieri (15 settembre) sull’isola con la prima ministra italiana, Giorgia Meloni, è per molti aspetti un copione già visto, è nei silenzi e nelle omissioni che si possono trovare delle indicazioni interessanti su come si stia indirizzando la politica migratoria dell’Unione e quali siano i punti di potenziale tensione tra l’esecutivo comunitario e gli Stati membri. Ma che, in nome di una pax Ursula legata alla necessità di approvare il Patto migrazione e asilo, proprio il Berlaymont sta cercando in tutti i modi di smorzare, utilizzando lo strumento del silenzio.
L’esempio più palese è la questione del blocco navale. È una delle richieste più pressanti della premier italiana – ribadita oggi (18 settembre) durante il Consiglio dei ministri – ma una posizione netta da parte della numero uno della Commissione Ue avrebbe rischiato di aprire una crepa in quella “risposta coordinata delle autorità italiane ed europee” che von der Leyen ha voluto portare a Lampedusa. Il blocco navale è una promessa della campagna elettorale 2022 della leader di Fratelli d’Italia, ma ha sempre mostrato dei livelli di criticità in alcun modo superabili, in primis da un punto di vista legale. Quello che la presidente dell’esecutivo Ue avrebbe dovuto dire – e per questo ha taciuto – alla premier Meloni è che questa azione viola il diritto internazionale: sia il principio di non-refoulement (non-respingimento) secondo l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, sia il diritto di asilo e alla protezione internazionale sancito dall’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue).
Un’altra questione taciuta – o meglio, omessa – dalla presidente von der Leyen è stata quella delle missioni Ue di ricerca e soccorso in mare. “Intendo esplorare opzioni per espandere le missioni navali esistenti nel Mediterraneo o per avviarne di nuove”, è un richiamo alla prima operazione di sicurezza marittima lanciata dall’Ue nel 2015, Operazione Sophia, che aveva come obiettivo non solo lo smantellamento delle navi utilizzate dai trafficanti di esseri umani ma soprattutto la ricerca attiva di persone in difficoltà nel Mar Mediterraneo. A metterle fine nel 2020 erano stati i 27 Paesi membri Ue riuniti in Consiglio – sotto la forte pressione nell’anno precedente del ministro dell’Interno del governo Conte I, Matteo Salvini, oggi partner del governo Meloni – con la sostituzione dell’Operazione Irini, il cui compito primario è quello di vigilare sull’applicazione dell’embargo sulle armi alla Libia. Avviare “nuove operazioni” navali sul modello Sophia non compare tra le priorità dei Paesi membri Ue, non certo del governo italiano che invece preferirebbe esclusivamente un rafforzamento della prevenzione delle partenze sul modello di un blocco navale. Ecco perché la presidente della Commissione è rimasta così vaga e i portavoce dell’esecutivo Ue sono restii a fornire ulteriori informazioni.
Al tema dell’abbandono delle operazioni di ricerca e soccorso in mare coordinate tra i Ventisette si collega un’altra affermazione parziale di von der Leyen. “Molti [migranti, ndr] arrivano qui a Lampedusa semplicemente per la sua posizione“, può essere vero solo se non si considerano i dati e i cambiamenti nel tipo di approccio alla gestione della migrazione nel Mediterraneo centrale nel corso degli ultimi otto anni. Come fanno notare gli analisti, nel 2015 gli sbarchi in Italia erano 150 mila e a Lampedusa sbarcavano in 9 mila, mentre negli ultimi 12 mesi gli arrivi sono stati oltre 160 mila e gli sbarchi a Lampedusa circa 100 mila. È vero che l’isola delle Pelagie è uno dei punti di arrivo più vicini rispetto alle coste tunisine, ma ciò che la leader dell’esecutivo comunitario ha omesso di ricordare è che Lampedusa è diventata ormai l’unico luogo in cui le autorità italiane si confrontano con il fenomeno migratorio, proprio per il fatto di aver abbandonato la ricerca attiva di persone in mare prima che approdino nell’isola.
Di fronte a un quadro di aumento degli sbarchi nel 2023, è discutibile anche il modo in cui sono stati messi sotto silenzio i coni d’ombra delle soluzioni dettagliate a Lampedusa. In primis il piano per “trasferire i migranti fuori da Lampedusa”, attraverso il meccanismo di solidarietà volontaria per i ricollocamenti. Se questa per la Commissione Ue è una soluzione privilegiata – che si dovrebbe rispecchiare anche nel futuro Patto migrazione e asilo – non sembra esserlo altrettanto per i Paesi membri, come mostrato dalle ultime tensioni tra Italia e Francia-Germania. Nel corso della conferenza stampa la presidente dell’esecutivo Ue non ha speso mezza parola per esortare i Ventisette a un maggiore impegno sui ricollocamenti di persone migranti e sulle riammissioni secondo le regole del Meccanismo di Dublino. A dimostrare che questo piano già scricchiola sono state le parole di questa mattina (18 settembre) del ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin: “La Francia non si appresta ad accogliere i migranti arrivati a Lampedusa, sarebbe un errore di giudizio considerare che, siccome arrivano in Europa, devono essere subito ripartiti in tutta Europa e in Francia”.
Particolare attenzione merita anche il costante riferimento al memorandum d’intesa con la Tunisia firmato il 16 luglio a Tunisi. “Lavoreremo per l’attuazione del protocollo e daremo priorità alle azioni” per “agevolare la contrattazione di nuovi progetti e l’erogazione di fondi alla Tunisia“, ha assicurato von der Leyen. Che, ancora una volta, non ha nulla da dire sulle violazioni dei diritti umani ai danni delle persone migranti in arrivo nel Paese dall’Africa subsahariana e sulle teorie complottiste della “sostituzione etnica” avanzate con forza dal presidente tunisino, Kaïs Saïed. Se questo non fosse sufficiente per mettere quantomeno in discussione l’integrità di un nuovo partner a cui delegare la gestione del fenomeno migratorio sulle coste nordafricane (dopo aver fatto lo stesso con la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan e in parte con la cosiddetta guardia costiera libica), lo dovrebbero essere le sirene a Bruxelles sulla legittimità del processo con cui si è arrivati all’accordo di Tunisi. Come riporta La Stampa, il servizio giuridico del Consiglio avrebbe contestato il protocollo perché firmato “senza rispettare le procedure”, ovvero senza il passaggio dagli Stati membri. Per questo sia la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, sia l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, avrebbero scritto una lettera per criticare la decisione di procedere ugualmente. La presidente von der Leyen, invece, a Lampedusa ne ha parlato come una cosa fatta.
Complessivamente parlando, quello che più stupisce per le omissioni o le questioni passate sotto silenzio dalla presidente von der Leyen, è il grado di semplificazione di una materia complessa come la migrazione per sposare una visione securitaria della gestione del fenomeno. Lo dimostra soprattutto il tentativo di addossare tutta la responsabilità ai trafficanti di esseri umani che – per quanto senza dubbio costituiscano fattore-chiave del problema – non sono l’unica variabile. “Un numero crescente di migranti lascia il proprio Paese d’origine, sono attirati da trafficanti e scafisti senza scrupoli“, è una spiegazione quantomeno parziale del fatto che le persone possano spostarsi dal proprio luogo d’origine a causa di guerre, cambiamenti climatici, carestie, conflitti etnici, ricongiungimenti familiari o per la ricerca di migliori condizioni socio-economiche. “La misura più efficace per contrastare le menzogne dei trafficanti sono i percorsi legali e i corridoi umanitari“, è invece sicuramente vero se solo fosse messo in pratica. La concessione di un visto Schengen ai cittadini di Paesi a cui non è stata garantita la liberalizzazione è altamente arbitrario e per questo motivo le rotte migratorie che attraversano il deserto e il mare diventano così di frequente l’unico modo per raggiungere l’Europa. E non perché i trafficanti rendano il viaggio più attraente, visto che il costo economico e umano di un biglietto aereo sarebbe infinitamente minore.