Bruxelles – Le condizioni erano ormai chiare da tempo, ma da oggi (5 settembre) sono a tutti gli effetti sul tavolo dei negoziati. Perché un nuovo governo guidato da Pedro Sánchez possa vedere la luce, si dovrà passare inevitabilmente da concessioni importanti agli indipendentisti catalani di Carles Puigdemont. A metterlo nero su bianco è stato proprio il leader di Junts per Catalunya, nel corso di una conferenza stampa che – senza troppe sorprese – non ha lasciato quasi nulla al caso per quanto riguarda le richieste per concedere il benestare all’appoggio esterno alla coalizione di sinistra formata dal Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) e dalla sinistra di Sumar.
Dopo il confronto di ieri (4 settembre) al Parlamento Europeo con la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz (leader di Sumar), Puigdemont ha messo in chiaro di volere “un compromesso storico” per risolvere la questione catalana. Al momento i presupposti “non ci sono, vanno creati”, ma le pre-condizioni sul tavolo per iniziare questi negoziati non potrebbero essere più nette: riconoscimento della legittimità dell’indipendenza catalana, abbandono dell’iter giudiziario, creazione di un meccanismo di mediazione e di verifica “che fornisca garanzie sul rispetto e sul monitoraggio degli accordi”, promozione della lingua catalana nell’Unione Europea e soprattutto amnistia per tutte le persone coinvolte nel referendum sull’autodeterminazione della Catalogna nel 2017. “Non stiamo parlando di un ripiego per far avanzare la legislatura e chiudere la porta alla destra, stiamo parlando del fatto che se ci sarà un accordo, sarà un compromesso storico come nessun regime o governo spagnolo è mai riuscito a realizzare”, ha rivendicato Puigdemont. Le strade davanti ai socialisti ora sono due: o raggiungere un accordo con il partito indipendentista o tornare alle urne.
Il leader di Junts ha assicurato che tutto ciò è possibile, in pochissimo tempo. “Nessuna di queste pre-condizioni è contraria alla Costituzione o trattato europeo e non richiedono un lungo processo”, perciò devono essere soddisfatte “prima che scada il termine per evitare nuove elezioni”. In caso di risposta positiva da Sánchez e Díaz, queste concessioni “ci impegnano e ci obbligano a lavorare per un compromesso storico che risolva il conflitto nella legislatura“. L’obiettivo finale per Puigdemont non è certo abbandonare il ruolo di eterna opposizione al Parlamento di Madrid, ma nemmeno la sola amnistia per i fatti del 2017: la richiesta per avviare i negoziati per l’investitura di Sánchez hanno tutti i tratti del punto di inizio di un percorso che dovrebbe portare a un vero referendum sull’autodeterminazione della Catalogna come nazione. Che, in ogni caso, mostra già punti deboli di non poco conto. Un sondaggio dell’Institut de Ciències Polítiques i Socials (Icps) dell’Universitat Autònoma de Barcelona ha evidenziato che nel 2022 il 53,2 per cento dei catalani avrebbe votato ‘no’ in un ipotetico referendum sull’indipendenza, mentre solo il 39 per cento ‘sì’.
Come riporta El Diario, fonti interne ai socialisti spagnoli hanno concesso che Puigdemont “ha menzionato il quadro della Costituzione” nel discorso di presentazione delle linee rosse catalane e che, “anche se molte cose ci separano, la strada del dialogo è aperta“. Fonti del governo hanno invece fatto notare che nel corso della conferenza stampa il leader di Junts per Catalunya non è stato “per nulla conflittuale” e che non ha parlato di “Stato repressivo”, come fatto in diverse altre occasioni. Ecco perché sembra verosimile pensare che quantomeno ci si siederà al tavolo dei negoziati, con la possibilità di fare (alcune, non certo tutte) le concessioni del caso. D’altra parte la sinistra di Sumar – che ieri era rappresentata a Bruxelles da Díaz, in veste di leader di partito e non di membro del governo spagnolo – sta offrendo i primi segni di apertura sulla costituzionalità di un’amnistia generale. L’amnistia è un concetto giuridico diverso dall’indulto: la prima costituisce una causa di estinzione del reato, mentre il secondo è una causa di estinzione della pena. In altre parole, con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena perché il reato non sussiste più.
Durissimo invece il commento del leader del Partido Popular (Pp), Alberto Núñez Feijóo: “La democrazia spagnola non accetta amnistie, perché i crimini commessi sono contro la democrazia, non contro una dittatura”. Il candidato-premier della destra è in corsa per la – ormai impossibile – investitura e per questo ha voluto dare un giudizio sulle condizioni poste da Puigdemont: “Non sono accettabili, se il requisito per un incontro è l’amnistia, possiamo saltarlo“. Núñez Feijóo ha esortato Sánchez a fare lo stesso per “difendere l’unità della nazione”, non cedendo ai “ricatti” dei catalani: “In nome del popolo spagnolo non voglio né posso pagare il prezzo che hanno fissato per essere presidente del governo”.
Puigdemont decisivo per il governo spagnolo
In una Spagna spaccata in due dopo le elezioni di un mese e mezzo fa gli indipendentisti catalani sono decisivi per la formazione di un governo di minoranza di sinistra. Al Congresso dei deputati il Partito Socialista Operaio Spagnolo e la sinistra di Sumar possono contare su 152 deputati (rispettivamente 121 e 31), mentre la maggioranza è fissata a 176. A questi si sommano i 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv) che lo appoggiano dall’esterno e l’astensione dei 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e i 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb). In totale si arriva così a 170 e per questa ragione è cruciale per Sánchez convincere i 7 deputati di Junts per Catalunya di Puigdemont a ritirarsi dall’opposizione. Un primo confronto tra i socialisti e Junts ha portato il 17 agosto a un accordo per l’elezione della candidata del Psoe, Francina Armengol, a nuova presidente del Congresso dei deputati. Junts ha smorzato subito gli entusiasmi, affermando che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier.
Il primo a presentarsi (il prossimo 26-27 settembre) al Congresso dei deputati per il voto di investitura sarà però il leader popolare Núñez Feijóo, dopo aver ricevuto lo scorso 22 agosto l’incarico da Re Felipe VI in qualità di vincitore delle elezioni di luglio. Ormai è chiaro che i tentativi di Núñez Feijóo saranno destinati a fallire per l’incapacità di mediare con i partiti regionalisti baschi o catalani a fronte di un numero di deputati non sufficienti a sostenere una coalizione di destra: alla soglia minima mancano quattro voti introvabili che si aggiungano ai 172 deputati sicuri, ovvero i 137 del Pp con i 33 dell’estrema destra di Vox e i due di Coalizione Canaria e Unione del Popolo Navarro. Nemmeno i tentativi di strappare da una possibile maggioranza di sinistra il Partito Nazionalista Basco – di centro-destra ma favorevole all’indipendentismo basco (e perciò in contrasto con il centralismo del Partito Popular) – sembra poter andare in porto: “Non parteciperemo a combinazioni in cui sia presente Vox”, hanno tagliato corto i baschi.
Se però nemmeno la mediazione tra le forze di sinistra e gli indipendentisti catalani di Puigdemont dovesse andare in porto, non è ancora da escludere lo scenario di nuove elezioni in Spagna nelle prime settimane del 2024. Dopo il primo voto di investitura per Feijóo che si svolgerà tra il 26 e il 27 settembre, a meno di un’inaspettata convergenza di altre forze politiche verso destra la palla passerà a Sánchez, che entro 60 giorni dovrà giocarsi le sue carte. Se nessun candidato otterrà voti sufficienti, si terranno nuove elezioni non prima di 47 giorni. Questo porta il calendario a domenica 14 gennaio come prima data utile, lasciando comunque al governo Sánchez di transizione la possibilità di gestire la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue fino a fine anno, con l’obiettivo di finalizzare diversi pacchetti legislativi, dal Patto migrazione e asilo al Green Deal Europeo.