Bruxelles – Che fine farà il Green Deal europeo? E’ la domanda che chi gira intorno al mondo delle istituzioni europee si è fatto quando, un mese fa, ha iniziato a circolare la voce delle dimissioni dell’ormai ex vicepresidente in capo al Green Deal europeo, Frans Timmermans. Non solo ‘A chi andrà la delega sul Patto verde per l’Europa’ dopo che si sarà dimesso, ma ‘Che ne sarà del Green Deal’ come pilastro cardine dell’attuale Commissione europea.
Annunciato e lanciato nel 2019 dalla neo-insediata presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il Green Deal è stato presentato come una rivoluzionaria strategia di crescita per trasformare l’economia europea, rendendo sostenibili per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita degli europei. Alla base di questo piano c’è l’obiettivo di arrivare a zero nuove emissioni nette entro il 2050, un obiettivo inedito a livello globale che – il merito gli va riconosciuto – ha fatto da apripista tra le grandi potenze mondiali a mettere l’abbattimento delle emissioni tra le priorità politiche, non solo più tra le priorità climatiche.
Timmermans, l’uomo del Green Deal
Rammarico per la partenza di Timmermans è stato espresso da più parti nella Commissione, come dal membro italiano, Paolo Gentiloni, che oggi lo saluta in un tweet:
Frans @TimmermansEU played an extraordinary role in the #EUGreenDeal strategy. The @EU_Commission will miss his strength, experience and eloquence. I’m happy that he will be serving again in Dutch politics. Grazie e auguri Frans!
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) August 23, 2023
Nel corso degli ultimi quattro anni, questo obiettivo climatico di lungo termine si è pian piano arricchito di obiettivi intermedi e misure concrete che coprono tutti gli ambiti della società, dall’energia ai rifiuti. E ha preso concretezza attraverso provvedimenti che aiuteranno a centrarne gli obiettivi: dall’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’ presentato a luglio 2021 per abbattere le emissioni del 55 per cento (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030 alle due strategie ‘Farm to fork’ e Biodiversità per rendere più sostenibile il sistema agroalimentare europeo, passando per il piano sull’economia circolare.
Quattro anni dopo il gran clamore di questa novità, la Commissione europea si avvia verso l’ultimo anno della sua legislatura e perde l’uomo del Green Deal in un momento di profonda crisi di legittimità del Patto verde, ma anche in un momento delicato in cui vari dossier dovranno essere chiusi prima della scadenza di giugno 2024, con le nuove elezioni europee. Revisione delle direttive efficienza energetica ed energie rinnovabili, tassa sul carbonio alle frontiere e ampia revisione del mercato europeo del carbonio (il sistema Ets): nonostante la crisi energetica scoppiata senza che qualcuno potesse prevederlo, Bruxelles è riuscita a trovare un accordo istituzionale su buona parte dell’ambiziosa tabella di marcia del ‘Fit for 55’ che spetterà ora al prossimo Esecutivo attuare.
Timmermans se ne va, però, lasciando aperti sul tavolo diversi dossier particolarmente spinosi del Green Deal e che interessano anche l’Italia. Per cominciare, la direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici (la famosa ‘direttiva case green’ su cui i negoziatori di Parlamento europeo e Consiglio si rincontreranno a settembre nel trilogo) e l’ampio pacchetto di decarbonizzazione del mercato del gas, che comprende anche l’idea di rendere strutturale gli acquisti congiunti di gas e idrogeno. Poi ancora, sul fronte dell’economia circolare le istituzioni dovranno cercare un’intesa sul regolamento proposto sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggi, con l’obiettivo per gli Stati membri di ridurre i rifiuti di imballaggio pro capite del 5 per cento entro il 2030 e del 15 per cento entro il 2040 rispetto ai livelli del 2018. In pieno stallo tra gli Stati membri la proposta di revisione della direttiva del Consiglio sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, che punta ad allineare la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità alle politiche Ue in materia di energia, ambiente e clima.
Dopo il caos dei mesi scorsi sulla celebre Legge per il ripristino della natura (diventata un endorsement proprio a Timmermans e al suo Green Deal), è difficile che si facciano progressi in tempi brevi sulla proposta della Strategia Farm to Fork di ridurre l’uso dei pesticidi, a cui si dicono ostili diversi Stati membri Ue. Così come ostili sono alcuni governi – tra cui Germania e Italia – ai nuovi standard Euro7. Questi i principali fascicoli ancora aperti a Bruxelles a un anno dalla scadenza della legislatura. Ma ci sono anche altre misure che erano state promesse dall’Esecutivo e che non è detto che vengano addirittura presentate entro fine 2023: la stretta sulle microplastiche (che era in calendario prima dell’inizio dell’estate ma ora sparita dai radar) e la revisione mirata del regolamento REACH sulla registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, prevista dalla strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili adottata il 14 ottobre 2020.
Cambio di marcia?
Nelle parole di von der Leyen che ieri hanno accompagnato il saluto a Timmermans e l’annuncio che il Green Deal sarà ora nelle mani del vicepresidente Maros Sefcovic c’è la sensazione che la Commissione voglia spostare il baricentro del Patto Verde, dall’ambiente alle industrie. “Dopo una fase legislativa di successo, l’attenzione del vicepresidente esecutivo Šefčovič si concentrerà sul successo dell’introduzione del Green Deal come strategia di crescita dell’Europa. La nostra priorità sarà il rafforzamento dell’innovazione industriale pulita, il potenziamento delle reti e delle infrastrutture per la transizione energetica e l’accesso alle materie prime critiche”, ha scandito chiaramente von der Leyen. Al capo dell’Esecutivo fa eco anche Sefcovic, assicurando che il mandato si concentrerà su industria e transizione giusta.
https://twitter.com/MarosSefcovic/status/1694031251819167935?s=20
Nelle parole di von der Leyen il Green Deal non è mai stato altro che una strategia di crescita per l’economia europea, ma l’insistenza a voler parlare di un nuovo corso del Patto Verde potrebbe essere il tentativo di von der Leyen di prendere le distanze dalle critiche emerse nei mesi scorsi – dallo stesso Partito popolare europeo di cui fa parte – sull’impatto di alcune misure del Green Deal sul tessuto sociale e imprenditoriale. Una presa distanza che si può leggere, se pure con cautela, nell’ottica di una ricandidatura alla guida dell’Esecutivo europeo.