Bruxelles – È successo di nuovo, ma questa volta nel pieno di un’operazione di ricerca e soccorso in mare. La cosiddetta Guardia Costiera della Libia ha sparato diversi colpi di arma da fuoco in aria per intimorire i membri dell’equipaggio della nave Ocean Viking dell’Ong Sos Mediterranée mentre soccorrevano un’imbarcazione di persone migranti in difficoltà, dopo una serie di manovre pericolose a tagliare la traiettoria dei gommoni per destabilizzarli. Il mezzo su cui sono state condotte queste azioni – che potrebbero rappresentare delle chiare violazioni del diritto internazionale – è stato fornito dall’Italia a Tripoli come finanziamento dell’Unione Europea per le operazioni di pattugliamento delle coste della Libia.
“Chiederemo spiegazioni alle autorità dell’Italia e della Libia per chiarire la vicenda specifica e avere più informazioni, tutte le operazioni di ricerca e soccorso in mare di qualsiasi attore devono essere condotte nel pieno rispetto della legge internazionale”, ha risposto oggi (10 luglio) la portavoce della Commissione Ue responsabile per i Partenariati internazionali, Ana Pisonero, alle domande della stampa di Bruxelles su quanto accaduto venerdì scorso (7 luglio) in acque internazionali al largo delle coste libiche. Secondo quanto riportato dalla stessa Ong Sos Mediterranée, due gommoni sono partiti per soccorrere una prima imbarcazione in difficoltà con a bordo 46 persone e, appena dopo il salvataggio, la stessa Ocean Viking ha risposto a una richiesta di aiuto di una barca con 11 naufraghi. A quel punto sono iniziati i problemi con i libici, che prima hanno acconsentito al salvataggio e poi hanno iniziato le manovre pericolose a bordo di una motovedetta da cui sono partite anche almeno tre raffiche di spari, mettendo a rischio l’incolumità delle persone soccorse e dell’equipaggio della nave Ong.
“A prescindere dal fatto che le barche siano finanziate dall’Ue o meno, tutte le operazioni devono essere condotte nel rispetto del diritto internazionale, stiamo facendo tutto il possibile perché i nostri fondi non vadano a violare i diritti umani“, è la giustificazione della portavoce del gabinetto von der Leyen al fatto che le motovedette in dotazione della cosiddetta Guardia Costiera libica siano finanziate direttamente da Bruxelles nell’ambito del programma Support to integrated border and migration management in Lybia (Sibmmil). Dei cinque mezzi promessi a Tripoli, tre sono già arrivati a destinazione – “due restaurati e uno nuovo” – mentre non ci sono molte informazioni sugli ultimi due restanti, se non che “sono ancora in costruzione, perché nuovi”, ha reso noto Pisonero. La stessa portavoce ha voluto anche ricordare che “i partner sono sottoposti a un forte monitoraggio attraverso un meccanismo apposito, perché la situazione pone sfide particolari, e hanno obblighi di report”. Quello che però stupisce è che queste parole assomigliano molto a quelle di fine marzo, quando la cosiddetta Guardia Costiera della Libia si era resa protagonista di spari (in aria o in mare) sempre contro persone migranti e contro la nave Ocean Viking, e dell’inchiesta annunciata allora a Bruxelles non se n’è più saputo nulla.
Le accuse contro la cosiddetta Guardia Costiera della Libia
Sono molte le questioni che si sollevano quando si parla di operazioni della cosiddetta Guardia Costiera libica nel contesto di ricerca e soccorso in mare, aldilà delle motovedette e degli spari riportati da testimonianze video delle Ong. In primis va ricordato che Libia non ha sottoscritto la Convenzione sullo status del rifugiati del 1951, non conduce operazioni di soccorso in mare – come hanno dimostrato le due azioni violente di questo 2023 – ed è responsabile di “sistemiche violazioni dei diritti umani”, come ha ricordato in un’intervista a Eunews il relatore per la raccomandazione del Parlamento Ue, Giuliano Pisapia (S&D). La Guardia Costiera della Libia non è nemmeno una vera e propria Guardia Costiera, considerato il fatto che il Paese dilaniato dalla guerra civile è diviso in due: Tripoli e la Libia nord-occidentale sono controllate dal Governo di unità nazionale di Abdul Hamid Dbeibah, mentre Sirte e la Libia centrale e meridionale dal governo di Fathi Bashagha, con una fortissima influenza politico-militare del generale Khalifa Haftar nelle zone orientali. In assenza di un governo centrale in grado di controllare tutto il territorio nazionale, ogni milizia rivendica per sé l’autorità e le competenze della Guardia Costiera.
Non da ultimo bisogna tenere presenti le parole della commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, nel corso di un’audizione in commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del Parlamento Ue giovedì scorso (6 luglio): “Alcuni Paesi limitrofi e di transito sono più difficili di altri, come la Libia, dove abbiamo anche chiare indicazioni di gruppi criminali infiltrati anche nelle guardie costiere“, ha confessato Johansson agli eurodeputati. Ecco perché solleva non pochi dubbi la strategia di Bruxelles degli ultimi otto anni, che ha portato l’Unione a stanziare 700 milioni di euro alla Libia dal 2015 a oggi, oltre alla missione Sibmmil – realizzata dal governo italiano – che prevede appunto la consegna di cinque motovedette e l’addestramento di membri della cosiddetta Guardia Costiera libica.