Il regolamento europeo che vieta il commercio di legname illegale è entrato in vigore più di un anno fa, nel marzo del 2013, ma ad oggi sono ancora molti gli Stati membri che non lo applicano e l’Italia è tra i ritardatari.
Secondo quanto richiesto dalla normativa comunitaria sono tre gli obblighi che ogni Paese dovrebbe rispettare perché vengano importati solo prodotti certificati: la designazione di autorità competenti, l’individuazione delle sanzioni per chi non rispetta le regole e un adeguato sistema di controllo. L’Italia è ancora nella fase di attuazione degli ultimi due requisiti, senza i quali è impossibile bloccare del tutto il fenomeno. Il commercio fuori legge del legno è un mercato che continua a fruttare diversi soldi – almeno 30 miliardi di dollari all’anno secondo l’Interpol e l’Unep, lo United Nations Environment Programme, ma è anche una delle cause principali della deforestazione e della perdita di biodiversità. In più, importare legno illegale contribuisce a far perdere profitto ai governi e alle comunità locali.
Come l’Italia anche altri Paesi europei sono molto indietro: dodici Stati membri su ventotto non rispettano i tre gli obblighi richiesti dal regolamento. Al nostro stesso livello, con un solo obbligo soddisfatto su tre, Francia, Romania, Grecia, Lettonia, Slovenia, Croazia e Lussemburgo. Peggio di noi, con nessuna delle tre regole rispettate, Spagna, Polonia, Ungheria e Malta.
“L’inazione e i ritardi dei governi non possono più essere giustificati – ha dichiarato Sebastien Risso, direttore della campagna foreste di Greenpeace Europa – è giunto il momento che la Commissione intraprenda azioni legali contro i Paesi Ue inadempienti e faccia tutto il possibile per evitare che il legname illegale continui a entrare nei mercati europei”.
L’Unione europea negli ultimi anni ha firmato diversi accordi salva-foreste con i principali Paesi esportatori, perché si impegnino a promuovere la certificazione di legalità dei prodotti. Accordi con il Camerun, Repubblica Centrafricana, Ghana, Indonesia, Liberia e Repubblica del Congo sono in fase di attuazione, mentre restano ancora da negoziare quelli con Costa d’Avorio, Gabon, Repubblica democratica del Congo, Guyana, Honduras, Laos, Malesia, Thailandia e Vietnam.