Ursula von der Leyen ha messo il suo nome sul tavolo. E probabilmente ha chiuso la partita per il 2024.
La corsa alla prossima presidenza della Commissione europea (che si insedia, normalmente, il primo novembre di ogni quinquennio) è iniziata da tempo. Da mesi a Bruxelles si sfogliano margherite di nomi (tutti del Partito popolare a dire il vero, con solo qualche accenno ai liberali) e si assiste alla disperata lotta del presidente del Ppe Manfred Weber per sostituire von der Leyen, anche lei popolare, o con sé stesso o, dicono alcuni, con la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Il tutto ragionando su una maggioranza parlamentare (e anche di governi) che si sposterà a destra con le prossime elezioni nazionali ed europee.
Noi abbiamo sempre continuato a scommettere su von der Leyen, perché è la presidente in carica e dunque ha grande visibilità, perché, tutto sommato, ha lavorato bene, perché il governo tedesco la sosterrebbe (è scritto nel patto di maggioranza che si sosterrebbe un candidato tedesco, di qualunque partito sia) e perché veri candidati alternativi, con un minimo di esperienza di governo nel loro Paese, non se ne vedono al momento. Certo, la candidatura della politica tedesca regge finché reggerà questa maggioranza sia in Parlamento sia tra i governi. Se a giugno del prossimo anno dovesse cambiare tutto (ma nessun sondaggio lo fa presagire per ora) allora le cose potrebbero cambiare.
Ieri a Madrid, lo abbiamo raccontato, von der Leyen quasi a freddo, dopo mesi di silenzio, con uno stile molto sobrio ha smontato i giochi di Weber: mettendo il suo nome in campo ha messo in un angolo il presidente del Ppe (come accaduto anche in passato) che ora sarà per lo meno in grande difficoltà a trovare argomenti per spiegare che Ursula von der Leyen, tedesca come lui, popolare come lui, che ha gestito bene pandemia e guerra della Russia in Ucraina, non merita di restare al suo posto.
L’arma che Weber sta usando è lo spostamento a destra del Ppe e della maggioranza parlamentare. Von der Leyen lo sa bene, e proprio lì ha insistito ieri a Madrid, con poche frasi nette, per dire che con gli estremisti non si può avere a che fare. Tra l’altro ha gioco facile la presidente, visto che nessun sondaggio afferma che una maggioranza con le destre estreme sarà possibile dopo le prossime elezioni. A questo si aggiunge che le destre vanno un po’ ognuna per conto suo, e difficilmente si aggregheranno in una fronte unito. Non è mai successo. Weber sta anche facendo campagna contro il Green Deal, sfruttando il malumore di alcune categorie produttive, in particolare gli agricoltori e gli allevatori, per le nuove regole che la Commissione vuole introdurre. Dopo quattro anni di lavoro su questi temi la credibilità di un cambio di rotta del genere è bassa, ma ha una sua efficacia parlamentare. Ne farà le spese, a questo punto, forse più il commissario al Green Deal Frans Timmermans, socialista olandese, che la presidente tedesca.
Von der Leyen ha parlato al momento giusto, appena dopo che, domenica, importanti esponenti del suo partito hanno ribadito che il cordone sanitario contro la destra estrema interna tedesca di Afd resta in piedi, chiarendo, per estensione, che con gli estremisti europei il Ppe non vuol avere a che fare. Lo ha detto ieri anche il leader di Forza Italia Antonio Tajani, pur salvando, per dovere d’ufficio, la collaborazione con gli alleati della Lega. Hanno tolto buona parte del terreno sotto ai piedi di Weber, l’inesperto tessitore di trame che già una volta gli hanno fatto perdere la presidenza della Commissione europea, benché fosse il candidato ufficiale dei popolari durante la campagna elettorale del 2019.