Bruxelles – “Per l’Italia e i Med5 questo è un pessimo accordo, il riassunto è che Dublino sopravvive“. L’analisi dell’intesa tra i 27 governi Ue sui due dossier-chiave del Patto migrazione asilo da parte della direttrice del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (Ecre), Catherine Woollard, non lascia spazio a equivoci, in particolare quando si tratta della prospettiva per il governo italiano: “Ha fatto propaganda basandosi su poche piccole vittorie nella battaglia dell’ultimo giorno, quando in realtà ha perso la guerra dei precedenti sette anni di proposte e negoziati“.
In una lunga conversazione con Eunews la direttrice della rete di Ong basata a Bruxelles traccia con chiarezza il bilancio dell’orientamento generale concordato al Consiglio Affari Interni dello scorso 8 giugno: “Le regole di base del Regolamento di Dublino [secondo cui il compito di esaminare la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario spetta al primo Stato membro Ue a cui accede, ndr] sono rimaste e ci sono ancora più responsabilità per questi Paesi, sia come durata sia nel meccanismo per applicarlo“. Se è vero che l’Italia è riuscita a portare a casa l’accordo sul meccanismo di solidarietà – “dal nostro punto di vista qualsiasi solidarietà che abbia una base legale è un elemento positivo”, ha precisato Woollard – questa però è solo “una piccola compensazione” rispetto al mantenimento delle regole vigenti (e rafforzate). Perché in ogni caso “da sempre per l’Italia l’obiettivo principale in materia di asilo è la riforma di Dublino” e a questo si somma l’uso “esteso” delle procedure di frontiera e “l’espansione dei centri di detenzione alle frontiere esterne”. In poche parole “questa sembra essere a tutti gli effetti una sconfitta per i Med5” (Italia, Cipro, Grecia, Malta e Spagna).
Eppure il governo Meloni – nel pieno delle incertezze anche nel giorno del Consiglio (il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, prima si è detto contrario all’accordo, poi in serata ha ritrattato) – alla fine si è schierato a favore del compromesso tra i Ventisette. “Perché l’Italia ha accettato qualcosa che non è nell’interesse del Paese?“, si chiede la direttrice di Ecre: “Probabilmente per ciò su cui trae vantaggio, ma al di fuori del campo dell’asilo”. Una delle supposizioni più verosimili è che ci sia un legame con l’esborso dei fondi del Next Generation Eu: “L’Italia è il più grande beneficiario dei fondi di ripresa post-Covid e il successo di questo governo dipenderà dall’accesso e dalla spesa di quei soldi, si può supporre che in cambio l’Italia abbia promesso di non causare disagi su altre questioni“, migrazione e asilo compresi. È vero che non ci sono prove che questo accordo sia stato fatto, “ma è una teoria molto realistica”, precisa Woollard. C’è poi un altro fattore da tenere in considerazione, che è ben noto agli addetti ai lavori: “Molti Paesi ignorano le leggi Ue e in particolare quella sulla migrazione e asilo è un’area di frequente non conformità“. Insomma, un’altra supposizione plausibile è che “alcuni Paesi hanno accettato tutto questo, ma non intendono necessariamente attuarlo”.
Cosa cambierà per Italia e Med5
Uno degli aspetti più interessanti e finora poco analizzati è quello relativo ai possibili scenari pratici per i Paesi di primo approdo nel caso in cui venissero adottate le nuove regole previste dal Regolamento modificato sulle procedure di asilo (Apr) e dal Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm) secondo l’orientamento generale del Consiglio. Cioè quello che anche l’Italia ha approvato l’8 giugno. Secondo i calcoli di Ecre “l’Italia dovrà gestire almeno 4.700 persone all’anno attraverso le procedure di frontiera” che – è utile ricordarlo – “saranno quasi sempre in centri di detenzione”. Per evitare un unico enorme centro di detenzione, “saranno necessari almeno dieci centri nei punti di arrivo come a Lampedusa, in Sicilia, in Calabria“. E la prima questione che sorge riguarda i tempi di costruzione di questi centri, la gestione degli appalti, l’origine dei finanziamenti: “Si dovranno gestire le infrastrutture di frontiera, trasferirvi le infrastrutture giudiziarie, organizzare le garanzie procedurali, l’interpretazione, la consulenza legale”.
Poi c’è da considerare l’aspetto della responsabilità, con il rafforzamento delle regole di Dublino. Non solo è più lungo il periodo di tempo in cui gli Stati di primo approdo sono responsabili per le persone migranti, ma “i Paesi come il Belgio o la Francia che vogliono ‘dublinare’ [estradare, ndr] queste persone, dovranno semplicemente inviare una notifica, non una richiesta di processo reciproco”. E se l’Italia o gli altri Med5 non accettano le procedure “ci sarà un impatto negativo sul loro diritto alla solidarietà”. Portato su un livello concreto, la direttrice di Ecre ricorda che “attualmente almeno due terzi delle richieste falliscono, perché l’Italia semplicemente non risponde”, ma fare lo stesso con il nuovo Patto “sarà più difficile, perché rischia di perdere parte dei benefici”.
Il terzo elemento da sottolineare è la questione del concetto di ‘Paese terzo sicuro’, uno strumento per “esternalizzare la responsabilità e le persone”. Tuttavia, il fatto che sia più facile classificare un Paese come sicuro – “con standard ridotti” – a livello legislativo, “non significa che sia più facile nella pratica”, è la precisazione fornita da Woollard, con riferimento al fatto che “per quei Paesi terzi che non vogliono ricevere persone dall’Ue non ha alcun impatto o valore”. Anzi, si potrebbe ipotizzare addirittura un effetto opposto: “Se vedono che l’obiettivo dell’Unione è questo, possono semplicemente ridurre gli standard per non essere considerati sicuri”. Un concetto che tra l’altro non esiste nemmeno nel diritto internazionale e che non cambia i modi che già esistono per tentare di convincere Paesi come la Tunisia: “Denaro, pressioni e minacce, ma non c’è nessun incentivo per costruire un sistema di protezione funzionante“. È da esattamente 20 anni che vanno avanti gli sforzi di Bruxelles di trasferire la responsabilità al di fuori dell’Unione, da quando “nel 2003 gli Stati membri hanno discusso a lungo sulla creazione di centri in Albania, su proposta del Regno Unito”. Una strategia che per Woollard non ha mai funzionato, fatta eccezione per la Turchia: “Nel 2016 Erdoğan era convinto che fosse utile integrare i rifugiati siriani per questioni interne come il cambiamento degli equilibri etnici nelle aree curde”, ovvero “circostanze particolari che non si applicano a nessun altro Paese“.
Gli scenari dei negoziati sul Patto migrazione e asilo
Tutti questi sono al momento scenari ipotetici, perché quasi nessun file del Patto migrazione e asilo è arrivato alla fine del processo di negoziati inter-istituzionali tra il Parlamento e il Consiglio dell’Ue. Si sta ragionando sull’orientamento generale del Consiglio e tutto potrebbe ancora cambiare. “Che il Patto non venga adottato è una possibilità“, mette in chiaro la direttrice di Ecre, delineando i due modi per cui questo scenario possa realizzarsi. “Il primo è che il Parlamento decida di attenersi alla sua posizione – ‘o tutto il pacchetto o niente’ – o di imporre alcune linee rosse nella sua posizione, ma credo che sia estremamente improbabile”, dal momento in cui “secondo quanto stiamo sentendo il Parlamento si limiterà a cedere e ad accettare i punti su cui il Consiglio insisterà“. La seconda possibilità è legata allo scenario – non inverosimile – in cui alcuni Stati membri non siano più d’accordo con il loro approccio comune fra qualche mese. Ma anche in questo caso c’è una variabile non di poco conto: “Non c’è più molto tempo per i cambiamenti politici che potrebbero portare uno Stato membro a modificare la propria posizione“, come il caso della caduta di un governo. L’Italia poteva essere l’indiziato principale, ma “consideriamo che la premier Meloni avrà ancora non meno di un anno” di governo. È invece un altro il Paese-chiave per i negoziati sul Patto migrazione e asilo che mostra particolare instabilità politica: la Spagna del premier dimissionario Pedro Sánchez.
Il 23 luglio in Spagna ci saranno elezioni anticipate. E proprio la Spagna assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue a partire dal primo luglio. “Se si andrà nella direzione preoccupante di una coalizione tra il Partito Popolare e Vox – e i popolari non in grado di prevalere nelle discussioni interne su asilo e migrazione – avremo una situazione in cui la presidenza non sostiene più l’approccio generale”, è il quadro tracciato da Woollard: “Non è da escludere, dipende da quanto sono informati i politici di Vox“. Se il premier Sánchez e il suo Partito Socialista Operaio Spagnolo non dovessero prevalere, tutto dipenderà insomma dall’accordo di governo di una coalizione tra i conservatori e l’estrema destra. “Il Partito Popolare Europeo nel suo complesso sta investendo molto in questo Patto e farà pressioni sui popolari spagnoli, è probabile che il centro-destra prenda il portafoglio sulla migrazione e impedisca a Vox di riaprire quanto concordato” tra i Ventisette: “Causerebbero enormi problemi se decidessero di non andare avanti con l’approccio generale“. A proposito di forze che potrebbero creare problemi, c’è da considerare anche il ruolo di instabilità giocato da Polonia e Ungheria (alleati del governo Meloni, ma schierati agli antipodi rispetto agli interessi sul Patto migrazione e asilo): “In un certo senso sono irrilevanti, perché è stata presa la decisione di votare a maggioranza qualificata”, taglia corto Woollard.
L’ultima questione riguarda la posizione che assumerà il gabinetto von der Leyen come mediatore durante i triloghi. “La Commissione vuole solo che la legislazione venga adottata, perciò sosterrà tutto ciò che può essere un possibile accordo“, è la previsione della direttrice di Ecre sulla base di quanto accaduto negli ultimi mesi: “Ha partecipato in modo esteso e senza precedenti ai negoziati del Consiglio, è andata ben oltre la proposta originale ed è pronta ad andare fino in fondo per ottenere un accordo”. Insomma, l’esecutivo Ue andrà alla ricerca degli equilibri e delle intese realizzabili tra Stati membri e Parlamento quasi a ogni costo: “È nel suo interesse, non necessariamente in linea con i diritti fondamentali”. Perché anche l’ultimo avvertimento di Woollard non lascia spazio a equivoci: “Il Patto è un passo indietro, ma da solo non salva né distrugge il sistema di asilo in Europa“, mentre “le decisioni che verranno prese per implementarlo potrebbero invece essere sia l’una o sia l’altra cosa”.