Bruxelles – La formazione all’estero e l’esperienza acquisita in un altro Stato membro dell’Ue vanno sempre riconosciute per le graduatorie nazionali, altrimenti si attua una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, contravvenendo alle quattro libertà fondamentali su cui poggia l’Unione europea. Lo chiarisce la Corte di giustizia dell’Ue, nella sentenza che boccia l’operato del governo Conte 1 in materia di selezione del corpo docente per scuole pubbliche italiane di formazione artistica, musicale e coreografica (AFAM).
Si contesta nello specifico il decreto ministeriale 597 del 14 agosto 2018, che esclude la partecipazione di quanti abbiano acquisito un’esperienza professionale equivalente in istituti dello stesso livello situati in Stati membri diversi dall’Italia. Due cittadini italiani ne hanno chiesto l’annullamento al TAR Lazio, e oggi i giudici di Lussemburgo danno loro ragione.
“La normativa nazionale in questione costituisce una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, vietata in linea di principio dall’articolo 45 del trattato su funzionamento dell’unione europea“, recita la sentenza. L’operato dell’allora governo Lega-Movimento 5 Stelle “può dissuadere un lavoratore dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione, nella misura in cui impedisce di prendere in considerazione l’esperienza acquisita in Stati membri diversi dall’Italia”.
Le autorità italiane hanno tentato di difendersi sostenendo la necessità di porre fine alla precarietà nel settore AFAM, ma le ragioni addotte dall’Italia non convincono la Corte di giustizia dell’Ue. “Tale restrizione alla libera circolazione dei lavoratori non è giustificata dal perseguimento di un obiettivo di interesse generale, quale in particolare rimediare alla precarietà storica del settore della formazione superiore artistica, musicale e coreografica”. Agli occhi dell’organismo di giustizia dell’Ue “l’esclusione dei candidati che hanno maturato un’esperienza professionale in uno Stato membro diverso dall’Italia non sembra essere, di per sé necessaria per favorire il riassorbimento del lavoro precario nel settore”.
Decreto ministeriale da stralciare, dunque. “Anche supponendo che tale obiettivo sia legittimo e di interesse generale, la restrizione prevista dalla normativa nazionale non è idonea a garantirne la realizzazione”.