Bruxelles – Ora i triloghi possono cominciare, per ultimare la legislazione Ue sui diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali prima del termine della legislatura nella primavera del 2024. Dopo il Parlamento Europeo anche il Consiglio dell’Ue ha adottato oggi (12 giugno) la propria posizione negoziale sulla proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel dicembre 2021, sbloccando lo stallo sull’avvio dei negoziati inter-istituzionali che dovrebbero portare a maggiori tutele di rider, driver e tutti i milioni di lavoratori impiegati in Europa nella gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo).
“La gig economy ha portato molti benefici alle nostre vite, ma questo non deve andare a scapito dei diritti dei lavoratori, l’approccio del Consiglio rappresenta un buon equilibrio tra la protezione dei lavoratori e la certezza del diritto per le piattaforme che li impiegano“, ha affermato la ministra svedese per l’Uguaglianza di genere e la vita lavorativa e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Paulina Brandberg, commentando la decisione dei 27 ministri dell’Occupazione e degli Affari sociali di dare il via libera ai negoziati con l’Eurocamera sui diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali. La posizione del Consiglio riprende due elementi principali della proposta dell’esecutivo comunitario: la determinazione del corretto status occupazionale delle persone che lavorano per le piattaforme digitali e la definizione di norme sull’uso dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro.
Considerato che rider e altri lavoratori delle piattaforme digitali sono formalmente autonomi – ma devono rispettare quasi le stesse regole e restrizioni dei dipendenti – “ciò indica che sono di fatto in un rapporto di lavoro e dovrebbero quindi godere dei diritti e della protezione sociale previsti per i lavoratori dipendenti dalla legislazione nazionale e dell’Ue”, specifica la nota del Consiglio. Per definire se il lavoratore è dipendente della piattaforma – e non autonomo – nella posizione dei 27 governi viene precisato che devono essere soddisfatti “tre dei sette criteri stabiliti dalla direttiva”: limiti massimi alla somma di denaro che i lavoratori possono ricevere, restrizioni alla possibilità di rifiutare il lavoro e norme che regolano il loro aspetto o comportamento. Ma soprattutto spetterà alla piattaforma dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro secondo la legge e la prassi nazionale.
Sul piano degli algoritmi “questi sistemi saranno monitorati da personale qualificato, che gode di una protezione speciale contro i trattamenti negativi” e la supervisione si dovrà estendere “anche per alcune decisioni significative, come la sospensione del lavoro”. Per il Consiglio i lavoratori devono essere informati sull’uso dei sistemi di monitoraggio e di decisione automatizzati, dal momento in cui le piattaforme utilizzano “regolarmente” gli algoritmi per la gestione delle risorse umane e i lavoratori “si trovano spesso di fronte a una mancanza di trasparenza su come vengono prese le decisioni e su come vengono utilizzati i dati personali”, sottolinea la nota.
La proposta di direttiva sulle piattaforme digitali
Presentando la proposta di direttiva il 9 dicembre 2021, la Commissione Ue è partita dai dati sulla gig economy in Europa. Si stima siano più di 28 milioni le persone che lavorano attraverso piattaforme digitali nell’Ue – numero che dovrebbe raggiungere i 43 milioni entro il 2025 – ma più della metà (55 per cento) dei rider guadagna meno del salario minimo orario del Paese in cui lavorano. Tutto ciò mentre questa economia ha raggiunto ricavi pari a 20 miliardi di euro nell’Unione Europea. Le oltre 500 piattaforme digitali classificano il 90 per cento delle persone che lavorano attraverso la propria intermediazione come autonomi, ma circa 5,5 milioni potrebbero non essere tali. Questa classificazione errata comporta la negazione dei diritti lavorativi e sociali: salario minimo (dove esiste), contrattazione collettiva, orario di lavoro, protezione della salute e contro gli incidenti di lavoro, ferie pagate, disoccupazione, malattia e pensione di vecchiaia
Ecco perché il concetto alla base della futura direttiva è che le piattaforme digitali dovranno garantire tutti i diritti che spettano ai rider e agli altri lavoratori che forniscono prestazioni online (codifica di dati, servizi di traduzione), equiparando la loro condizione a quella dei subordinati. Dal momento in cui il modello di business su cui si basa l’intermediazione del lavoro è costituito da tecnologie a gestione algoritmica, la proposta va a proteggere i lavoratori sul piano della gestione di questi strumenti, stabilendo condizioni di equità e non sfruttamento per soggetti vulnerabili (che potrebbero avere difficoltà a entrare nel mercato del lavoro), come giovani e persone migranti. Il Parlamento ha adottato la sua posizione sulla proposta della Commissione lo scorso 2 febbraio e questo significa che presto potranno iniziare i negoziati inter-istituzionali con il Consiglio dell’Ue.