Bruxelles – Il 10 giugno il Portogallo celebra la sua festa nazionale, nella quale commemora la morte del poeta (nazionale) Luís de Camões. Nel 2024 quel giorno sarà un lunedì e dunque tanti cittadini già pregustano un lungo weekend, anche perché quest’anno la festa cade di sabato e dunque niente giorno senza lavoro.
Il 2 giugno è la Festa della Repubblica in Italia, nella quale si celebra il referendum istituzionale del 1946. Quest’anno è un venerdì, l’anno prossimo sarà di domenica.
Il 26 maggio del 2019 si sono tenute le ultime elezioni politiche in Belgio, e la scadenza prossima cade proprio di domenica, anche se obbligatorio votare il 26 non è, ma la data sarebbe comoda.
Sempre il 26 maggio in Germania ci sono le vacanze nei Lender.
Potremmo continuare con altri esempi di questo tipo, ma diventerebbe lunga. Come è lunga per i governi europei, attraverso i loro diplomatici a Bruxelles, trovare una data per le prossime elezioni del Parlamento europeo, previste nella primavera del 2024. La volta scorsa, nel 2019, si votò tra il 23 e il 26 maggio, perché la regola è che si vota da un giovedì a una domenica, così che tutti i 27 Paesi membri possano rispettare il loro giorno di voto tradizionale. Lo scrutinio avviene in contemporanea in tutti gli Stati alla chiusura degli ultimi seggi, la domenica notte. C’è però una “data naturale” detta anche “di default” che è tra il 6 e il 9 giugno, che nasce da quella delle prime elezioni del Parlamento (7-10 giugno 1979) e quasi tutte le successive sono infatti avvenute attorno a quei giorni. Naturalmente poi il voto deve svolgersi nella settimana disponibile dopo il termine del precedente mandato elettorale.
Il problema è dunque rispettare le regole, che sono la base della democrazia, ma farlo in maniera da non mettere in difficoltà le campagne elettorali e l’affluenza alle urne nei giorni del voto. Questo moltiplicato per 27. Non è facile. I portoghesi, questa volta hanno chiesto di verificare se si possa trovare un accordo per non votare nella finestra 6/9 giugno, perché il lungo weekend che nasce dalla festa nazionale disincentiverebbe la partecipazione al voto (che in Portogallo si svolge tradizionalmente di domenica).
Il Parlamento europeo, attraverso la Conferenza dei presidenti, ha espresso un’indicazione per la finestra 23/26 maggio, come avvenne l’ultima volta, andando di fatto incontro alle richieste portoghesi (ma scegliendo una data che la Germania ha rifiutato). E’ stato il primo organo ad esprimersi, ma non è quello che decide. La regola è che si vota nella “data naturale”: il processo si svolge all’interno del Consiglio e prevede che se ne occupi prima il “Gruppo di lavoro” che è un comitato di funzionari diplomatici dei 27 che poi porta le sue proposte al Coreper, il comitato degli ambasciatori dei Paesi membri (si chiamano, con più precisione “rappresentanti permanenti presso l’Ue”) che poi prepara una decisione che viene votata da un qualsiasi Consiglio dei ministri dell’Unione.
Spiega una fonte diplomatica a Bruxelles, che “votare nella data di default, cioè tra il 6 e il 9 giugno, vuol dire definirla con una procedura semplificata”. Se infatti si uscisse da questa finestra, allora sarebbe necessario un nuovo passaggio in Parlamento e poi il Consiglio dei ministri che approva definitivamente non è più uno qualunque, ma deve essere quello Affari Generali, che è composto dai responsabili degli Affari europei.
La presidenza di turno dell’Unione, che in questo semestre è svedese, si è assunta l’onere di verificare se si sono altre date possibili, consultando i singoli governi. Ma un’altra data ancora non si trova. Le finestre, non potendosi troppo allontanare dalla scadenza della legislatura, non sono molte, tra queste ci sono “quella del 23-26 maggio, quella del 30 maggio – 2 giugno e c’è la data naturale del 6-9 giugno. Inoltre ci sono le posizioni del Parlamento, che ha indicato il suo “political wish” per il 23-26 maggio, e del Consiglio, che indica la scadenza di default del 6-9 giugno”, continua la fonte diplomatica.
Non ci sono tensioni, per ora: a quanto ci spiega la fonte “si sta cercando una soluzione”, che però ancora non arriva e che non può essere attesa per mesi. Preparare le elezioni non è un fatto tecnicamente semplicissimo. In Lussemburgo o a Malta forse è meno complicato che in Francia che ha i numerosi Territori d’oltremare; altri Paesi hanno procedure di voto postali, o elettori che votano dall’estero, chi in forma digitale, chi cartacea. Insomma, le tessere da incastrare sono molte “ed al momento – precisa la fonte – non c’è una finestra che sta prevalendo su un’altra”. Alcuni Paesi poi vorrebbero far coincidere le consultazioni europee con consultazioni nazionali di diverso livello, ognuna delle quali ha le sue scadenze. C’è però una data, che è più indicativa che tassativa, che vorrebbe che la decisione fosse presa entro il 30 giugno. Due mesi da oggi, con il Consiglio che, in caso di non accordo (basta un Paese che metta un veto e il processo di spostamento della data si fermerebbe) può decidere di fermare le consultazioni e indire le elezioni nella data naturale.