Bruxelles – Un’altra stoccata all’Ungheria di Viktor Orbán, che colpisce il ventre molle del governo di Budapest su uno dei temi che lo sta mettendo più in difficoltà di fronte alle istituzioni comunitarie. I presidenti di cinque gruppi politici al Parlamento Ue (su sette) si sono rivolti con una lettera alla numero uno della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per esprimere “profonde preoccupazioni riguardo agli ultimi sviluppi legislativi in Ungheria” sulla questione dei diritti della comunità Lgbtq+ e per “utilizzare al più presto tutti gli strumenti a disposizione” per mettere un freno alla “violazione deliberata dei valori comunitari di uguaglianza, dignità umana e diritti fondamentali”.
Al centro della nuova offensiva politica di Bruxelles contro Budapest c’è l’adozione da parte del Parlamento ungherese di una legge che dovrebbe attuare la direttiva Ue del 2019 sulla protezione delle persone che denunciano violazioni del diritto dell’Unione. Attraverso questa copertura in Ungheria si potranno denunciare “attività contrarie allo stile di vita ungherese e alla Legge fondamentale”, comprese le attività che violano il “ruolo costituzionalmente riconosciuto del matrimonio e della famiglia”. In altre parole, qualsiasi cittadino potrebbe denunciare coppie omosessuali e Lgbtq+. “Riteniamo che contribuiranno ulteriormente a minare i valori sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea“, ovvero l’articolo-chiave per le fondamento del progetto dell’Ue: “Rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. È quanto scrivono i presidenti Manfred Weber (Ppe), Iratxe García Pérez (S&D), Stéphane Séjourné (Renew Europe), Terry Reintke e Philippe Lamberts (Verdi/Ale), Manon Aubry e Martin Schirdewan (La Sinistra).
La richiesta di quasi tutto il Parlamento Ue (non si sono associati i gruppi di destra di Identità e Democrazia, a cui appartiene la Lega, e dei Conservatori e Riformisti Europei, casa politica di Fratelli d’Italia) è di spingere il Consiglio ad “adottare le raccomandazioni nell’ambito della procedura prevista all’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea“, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” da parte di un Paese membro dei principi fondanti dell’Unione. A questo si aggiunge anche l’utilizzo di “tutti gli strumenti a disposizione” per verificare se la “misura di recepimento rispetta pienamente la Carta e la nozione di whistleblower“, considerato il fatto che l’Ungheria è stata definita dalla Commissione alla Corte di Giustizia dell’Ue proprio per il mancato recepimento della direttiva del 2019 e per le violazioni dei diritti delle persone Lgbtq+.
Parallelamente è arrivata anche la denuncia dei presidenti dei cinque gruppi politici al Parlamento Ue sul progetto di legge dell’Ungheria sullo status giuridico di coloro che lavorano nell’istruzione pubblica, “che limiterebbe drasticamente i diritti fondamentali degli insegnanti”, tra cui la libertà di espressione, l’autonomia professionale e il diritto di sciopero: “Potrebbe limitarli nell’esprimere, sia all’interno sia all’esterno del luogo di lavoro, opinioni critiche nei confronti delle convinzioni ideologiche del governo in carica”, mettono in evidenza gli eurodeputati, sottolineando anche che il datore di lavoro (cioè lo Stato) ha la possibilità di “monitorare i dispositivi elettronici che utilizzano per l’insegnamento”. A questo proposito la richiesta alla Commissione è di “sospendere i pagamenti nell’ambito del Fondo Sociale Europeo Plus” (il principale strumento finanziario di sostegno all’occupazione negli Stati membri) e di considerare il fatto che è “chiaramente impossibile una valutazione positiva della prima richiesta di pagamento nell’ambito del Piano di ripresa e resilienza” dell’Ungheria.
Lo scontro Ue-Ungheria sui diritti Lgbtq+
È dall’estate del 2021 che si è acceso lo scontro tra Bruxelles e l’Ungheria sul tema dei diritti Lgbtq+, quando la presidente della Commissione von der Leyen ha definito “una vergogna” la legge del governo Orbán che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in contesti frequentati dai minori. Il referendum sulla stessa legge anti-Lgbtq+, convocato dal premier ungherese nel luglio del 2021 proprio per trovare il consenso popolare sulla sua iniziativa, si è risolto in un fiasco il 4 aprile 2022: gli elettori ungheresi, pur riconfermando la fiducia nel partito Fidesz alle elezioni parlamentari dello scorso anno, lo hanno boicottato. Solo il 44,46 per cento ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo.
A questa sconfitta interna si è aggiunta la continua pressione da Bruxelles, con una procedura d’infrazione avviata il 15 luglio del 2021 e che a breve dovrebbe portare alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue. Quasi due anni fa l’esecutivo comunitario ha inviato a Budapest una lettera di costituzione in mora, dando due mesi di tempo per rispondere nel merito. Dopo il parere motivato fatto recapitare al governo Orbán, è arrivato il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Ue, dal momento in cui il Paese membro dell’Ue non ha corretto la propria legislazione nazionale per rispondere alle preoccupazioni sollevate dal gabinetto von der Leyen sul rispetto dei Trattati fondanti dell’Ue. La causa della Commissione è sostenuta dal Parlamento Ue e da 15 Paesi membri: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia.
Come emerge anche dalle motivazioni del ricorso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il disegno di legge ungherese che pone l’omosessualità, il cambio di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita allo stesso livello della pornografia è una violazione dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea. Inoltre, vietando o limitando l’accesso a contenuti che diffondono – usando le parole dell’esecutivo ungherese – “divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambio di sesso o all’omosessualità” per le persone di età inferiore ai 18 anni, la Commissione Ue ha rilevato che l’Ungheria non ha motivato perché l’esposizione dei bambini a contenuti Lgbt+ in quanto tale sarebbe dannosa. Per questo motivo la legge violerebbe la direttiva del 2010 sui servizi di media audiovisivi (restrizioni ingiustificate alla libera fornitura di contenuti e servizi) e la direttiva del 2000 sul commercio elettronico (fornitura di servizi transfrontalieri), ma anche due articoli specifici del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue): l’articolo 34 sulla libera circolazione delle merci e l’articolo 56 sulla libera prestazione di servizi (in particolare per la mancanza di notifica preventiva alla Commissione, nonostante l’obbligo previsto dalla direttiva sulla trasparenza del Mercato Unico).