Bruxelles – Un primo passo, per la verità e per la difficile messa a terra dell’accordo di normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia, in tutti i suoi punti e in tutti i suoi documenti vincolanti. Nonostante le polemiche per la mancata firma dell’accordo stesso – che più di un segno di penna sulla carta sembra scommettere sull’efficacia delle minacce di un taglio dei canali di finanziamento da Bruxelles per chi non lo rispetterà – Pristina e Belgrado hanno iniziato a implementare una prima parte dell’intesa: la Dichiarazione sulle persone scomparse, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea.
Come reso noto dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, l’intesa preliminare è stata raggiunta nel corso della riunione di ieri (4 aprile) tra i capi-negoziatori dei due Paesi balcanici, riuniti a Bruxelles per un nuovo round di discussioni a livello tecnico. Si tratta di “un primo passo” sul percorso di normalizzazione dei rapporti secondo l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio e il relativo allegato di attuazione del 18 marzo a Ohrid (Macedonia del Nord), entrambi concordati alla presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del primo ministro kosovaro, Albin Kurti. E proprio dagli stessi leader dei due Paesi è attesa la firma ufficiale “nella prossima riunione di alto livello che convocherò”, ha precisato Borrell. La data da segnare sul calendario per il dialogo Pristina-Belgrado è il 22 aprile, mentre “è in corso la traduzione dei loro impegni nei rispettivi percorsi europei”. Le istituzioni Ue si aspettano non solo che “entrambi onorino tutti gli obblighi derivanti dall’accordo e inizino ad attuarlo al più presto”, ma anche che continuino a “evitare qualsiasi escalation”, ha avvertito Borrell, riferendosi ai rischi di nuove escalation delle frange estremiste della minoranza serba nel nord del Kosovo.
La Dichiarazione sulle persone scomparse in Kosovo e Serbia
La questione di un’intesa tra Serbia e Kosovo per fare luce sulle persone scomparse durante la guerra del 1998-1999 è stato messo nero su bianco nei due documenti siglati il 27 febbraio e il 18 marzo. Nell’accordo di Bruxelles in 11 punti sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi trova spazio all’articolo 6, quello che precisa la necessità di stipulare “accordi aggiuntivi” sulla “futura cooperazione nei settori dell’economia, della scienza e della tecnologia, dei trasporti e della connettività, delle relazioni giudiziarie e delle forze dell’ordine, delle poste e delle telecomunicazioni, della sanità, della cultura, della religione, dello sport, della tutela dell’ambiente, delle persone scomparse, degli sfollati”. Più esplicito l’allegato di attuazione dell’accordo in 12 punti, che all’articolo 4 riconosce “l’urgenza” di “approvare la Dichiarazione sulle persone scomparse, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue”.
L’intesa raggiunta a livello tecnico – per cui ora serve solo il via libera ufficiale alla prossima riunione di alto livello – si basa su un dramma sociale nei due Paesi balcanici: sono 1600 i corpi delle persone scomparse nei due anni di guerra in Kosovo che non sono ancora stati localizzati, dopo gli oltre seimila rintracciati in più di 20 anni dalla fine della guerra. Gli scomparsi appartengono a tutte le comunità etniche: albanesi, serbi, rom, turchi, ashkali e bosgnacchi. Se per gli esperti è quasi impossibile ritrovarli tutti (durante le guerre etniche degli anni Novanta nell’ex-Jugoslavia si sono registrati anche traffici di organi), una cooperazione a livello politico potrebbe portare a una diminuzione del numero di persone la cui sorte non può essere stabilita con assoluta certezza. La base di partenza esiste già ed è il gruppo di lavoro bilaterale Pristina-Belgrado sulle persone scomparse (in stallo dal giugno 2021), su cui si dovrebbero concentrare gli sforzi di cooperazione per la ricerca, lo scambio di informazioni e le migliori pratiche.
Si tratta inoltre di una questione umanitaria di carattere non solo regionale, ma globale. Secondo l’articolo 24 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata del 2006, “ogni vittima [dove per ‘vittima’ si intende anche “qualsiasi individuo che abbia subito un danno come conseguenza diretta di una sparizione forzata”, ndr] ha il diritto di conoscere la verità sulle circostanze della sparizione forzata, sui progressi e sui risultati delle indagini e sulla sorte della persona scomparsa“. Ogni Stato firmatario “adotterà misure adeguate a questo proposito”, precisa la Convezione ratificata dalla Serbia nel 2011, mentre il Kosovo non può farlo fino a quando non sarà ammesso nelle Nazioni Unite.