Bruxelles – Un unico fondo europeo di sicurezza climatica quale alternativa, migliore e più efficiente, alle diverse voci di spesa, uguali per intenti ma sparse per capitoli di azioni. In materia di clima l’Unione europea procede in modo non armonico, e con risorse peraltro insufficienti a far fronte alle sfide che il futuro porterà con sé e che il presente già offre. La Banca centrale europea studia il modo in cui il club a dodici stelle ha deciso di affrontare una questione di sempre maggiore rilevanza. Nello speciale bollettino dedicato al tema, pone l’accento sulla necessità di un riordino della materia per renderla più a prova di transizione sostenibile.
L’Ue dispone già di strumenti per la mitigazione e la risposta ai rischi da cambiamenti climatici. Ci sono voci di spesa nel programma di ripresa post-pandemica (NextGeneration Ue, che comprende il Recovery fund), ci sono le politiche di coesione con i fondi strutturali, il fondo per la transizione giusta, il fondo sociale per il clima. Invece di avere più programmi sarebbe utile averne uno solo, sarebbe preferibile un fondo europeo per la sicurezza climatica ed energetica, “complementare e compatibile con le iniziative dell’UE esistenti e future”, tra cui REPowerEU, il fondo a sostegno dell’indipendenza energetica dell’Unione europea.
Gli esperti sono convinti che ragionando in questi termini si potrebbe avere un unico strumento in grado di erogare 500 miliardi di euro entro il 2030, a patto che si agisca subito. Se la politica lo vuole, si può fare. “E’ giuridicamente fattibile” da un punto di vista di quadro normativo e rispetto dei trattati sul funzionamento dell’Unione europea, rileva lo studio. Che offre ulteriori chiarimenti.
Nella concezione della Bce, questo speciale fondo andrebbe istituito attorno a tre elementi. In primo luogo, l’assunzione di prestiti da parte dell’Ue “allo scopo di fornire sovvenzioni o prestiti a sostegno degli investimenti nell’ambito del Fondo”, ma in alternativa “si potrebbe anche esplorare la possibilità di individuare nuove risorse proprie dell’Ue”. In secondo luogo, si potrebbe inserirlo nel quadro finanziario dell’Ue (Mff) mediante un regolamento specifico. Questo attribuirebbe la natura di “entrate con destinazione specifica esterna” ai prestiti dell’Ue e alle nuove risorse proprie che confluiscono nel Fondo. Terzo elemento del fondo: i finanziamenti. Questi “potrebbero essere incanalati in adeguati programmi di spesa nuovi ed esistenti nei settori del clima e dell’energia”. In tale ottica “potrebbero essere stabiliti nuovi programmi di spesa per stabilire norme dettagliate sulle condizioni di utilizzo del Fondo, comprese la selezione degli investimenti e le condizioni di esborso”.
La Bce non prende iniziative. Offre “un contributo” a quel dibattito già avviato. Il Fondo monetario internazionale ha messo in risalto come “il finanziamento degli sforzi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici richiederà la mobilitazione di risorse aggiuntive e la riforma della gestione delle finanze pubbliche”. Ne sono consapevoli anche a Bruxelles. La Commissione europea stima che in ogni anno del decennio 2021-2030 l’Ue avrebbe bisogno di 454 miliardi di euro (dato a prezzi del 2022) di investimenti aggiuntivi per rispettare i suoi impegni climatici per il 2030. Se una quota “significativa” di questo investimento proverrà dal settore privato, gli analisti della Bce sottolineano che “sono necessari anche significativi investimenti pubblici aggiuntivi” per promuovere innovazioni pionieristiche e fornire le infrastrutture a livello dell’Ue per fare della transizione una realtà e una storia di successo.
La Bce, per rispondere a questioni già poste prima che si pongano, immagina quindi una sorta di ‘recovery 2’ “attingendo al design del programma NextGenerationEU”, si sottolinea. Vuol dire regole chiare e impegni precisi per ottenere i contributi europei. Ma vuol dire anche un’altra cosa. Un siffatto fondo per la sicurezza climatica, “idealmente”, dovrebbe mettere a disposizione dei governi i 500 miliardi di euro attraverso garanzie, così da evitare che il margine di bilancio limitato in alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, “ostacoli un’azione efficace e coerente in tutta l’Ue e quindi la conformità generale dell’UE e dei suoi Stati membri all’accordo di Parigi” sul clima.