Bruxelles – Criteri comuni contro le false dichiarazioni verdi. La Commissione europea ha presentato oggi (22 marzo) l’attesa (e a lungo rimandata) proposta di direttiva per porre fine alle affermazioni più o meno vaghe o in certi casi, addirittura fuorvianti, sui prodotti o sui servizi offerti dalle aziende, così da regolarne la comunicazione sull’impatto ambientale della loro attività. In uno studio del 2020, Bruxelles ha analizzato circa 150 dichiarazioni ambientali fatte dalle aziende (come “imballaggi realizzati con materiali riciclati” o anche “impronta climatica ridotta”), concludendo che il 53,3 per cento delle indicazioni ambientali esaminate nell’Ue sono “vaghe, fuorvianti o infondate” e il 40 per cento non è stato comprovato.
La proposta di direttiva della Commissione, che deve ancora essere negoziata tra gli Stati membri e con il Parlamento europeo (e dunque potrebbe essere modificata nei negoziati inter-istituzionali), prevede che quando le aziende scelgono di fare una “dichiarazione verde” sull’impatto ambientale dei loro prodotti o servizi, dovranno rispettare norme minime su come dimostrare queste affermazioni, su basi scientifiche e riconosciute. Bruxelles si scaglia contro le dichiarazioni esplicite sull’impatto ambientale di un prodotto o di un servizio, come ad esempio “maglietta realizzata con bottiglie di plastica riciclate (“meno dell’1 per cento del materiale usato è realizzato con plastica riciclata”, ha commentato il commissario europeo per l’ambiente, Virginijus Sinkevičius, in conferenza stampa presentando la proposta), oppure “consegna con compensazione di CO2”, “imballaggio realizzato con il 30 per cento di plastica riciclata” o “crema solare amica degli oceani”. La stretta andrà a coprire tutte le dichiarazioni volontarie delle aziende sugli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto o di un servizio.
La futura normativa non riguarda invece le indicazioni che sono già coperte dalle norme Ue esistenti, ad esempio l’etichetta ‘Ecolabel’ dell’Ue o il logo per gli alimenti biologici, che Bruxelles reputa già “affidabili”. Prima che le aziende comunichino ai consumatori uno qualsiasi dei tipi di “dichiarazioni verdi” contemplati dalla direttiva, le dichiarazioni dovranno essere verificate e dimostrate in modo indipendente con prove scientifiche. Essendo una proposta di direttiva, che i Paesi Ue devono recepire nel diritto interno, saranno i governi a dover far garantire il rispetto di questi requisiti minimi di comunicazione quando le aziende rilasciano volontariamente queste affermazioni.
Potranno istituire processi di verifica e applicazione, da parte di “verificatori indipendenti e accreditati”, che dovranno verificare che le affermazioni siano comprovate da prove scientifiche ampiamente riconosciute. E saranno sempre gli Stati membri a decidere in che modo punire chi non rispetta le regole contro il greenwashing: le sanzioni previste – si legge all’articolo 17 della direttiva – devono “essere effettive, proporzionate e dissuasive”. Le sanzioni possono includere sanzioni di natura pecuniaria “che privino effettivamente i responsabili dei benefici economici derivanti dalle loro violazioni”; oppure “la confisca dei ricavi ottenuti dal commerciante da una transazione con i prodotti in questione”; o ancora, l’esclusione temporanea, “per un periodo massimo di 12 mesi, dalle procedure di appalto pubblico e dall’accesso ai processi di approvvigionamento pubblico e dall’accesso ai finanziamenti pubblici, comprese le gare d’appalto, le sovvenzioni e le concessioni”.
L’intervento normativo di Bruxelles punta a colpire anche la proliferazione di etichette ambientali (ne stima almeno 230 diverse), per cui non saranno consentiti nuovi schemi pubblici di etichettatura, a meno che non siano sviluppati a livello europeo, e qualsiasi nuovo schema privato dovrà dimostrare di avere maggiore ambizione ambientale di quelle già in uso in Europa. La proposta di oggi è parte di un più ampio pacchetto di misure legislative che la Commissione europea sta adottando dedicato all’economia circolare.
La prima metà del pacchetto ‘economia circolare’ è stata presentata dalla Commissione il 30 marzo di un anno fa, con quattro iniziative specifiche, ovvero nuove norme per l’eco-progettazione dei prodotti, un piano di lavoro di transizione per gli anni 2022-2024 (fino a che le nuove norme non saranno in vigore) e due iniziative settoriali per due dei comparti su cui l’UE vuole intervenire prima possibile, l’industria tessile e i prodotti delle costruzioni. La seconda metà delle iniziative è stata presentata il 30 novembre scorso, con la proposta di revisione delle norme sugli imballaggi, un quadro politico per fare chiarezza per consumatori e industrie sulle plastiche biodegradabili, compostabili e biobased e una proposta di regolamento per un quadro normativo per i certificati di assorbimento del carbonio. Oggi è arrivata l’ultima parte delle iniziative, tra la direttiva sul greenwashing e la proposta di direttiva sul diritto alla riparazione. Nonostante i tempi stretti, la Commissione europea si dice convinta che i co-legislatori riescano a trovare un accordo su entrambi i dossier entro la fine della legislatura attuale, in scadenza a metà 2024.