C’è un problema in Europa che diventa ogni giorno più grande per tutti: manca un leader socialdemocratico. Nel centrodestra c’è Angela Merkel, forte, lucida, d’esperienza, indiscussa, lavoratrice. Nessuno mette in dubbio le sue parole, può esserci qualche aggiustamento, ma la linea la detta lei, è il punto di riferimento credibile e sempre presente.
A sinistra chi fa questo lavoro? Nessuno. I due partner-antagonisti dovrebbero essere Matteo Renzi e François Hollande (o insieme o uno di loro), perché rappresentano due grandi paesi dell’euro, la seconda e la terza economia della moneta unica, sono a capo di nazioni che hanno oltre 60 milioni di abitanti. I referenti di Merkel (quando i socialisti governano qualche grande paese) non possono certo essere leader di piccole nazioni che non “pesano” sugli equilibri europei, che non sono nel G7, le cui economie sono quasi insignificanti e le popolazioni minuscole.
Eppure sia Hollande sia Renzi non sono i referenti in campo per Merkel. Il primo ha avuto una batosta elettorale che resterà nella storia di Francia e dell’Europa, ha scarsa presa dunque, anche se resta a capo di un paese grande, importante, con il quale la Germani ha relazioni più che solide, anche se non sempre serene. E infatti ieri ieri alle 16.45 Merkel e Hollande, con altri capi di governo, sono puntualmente entrati al palazzo del Consiglio europeo, con oltre tre ore d’anticipo sull’apertura (ritardata) del vertice, e si sono messi a lavorare. Senza successo apparente al momento, ma erano lì, ci hanno provato, insieme.
E perché è stato un fiasco? Perché Hollande non era in grado di garantire nulla a Merkel, ogni aggiustamento, ogni proposta non poteva diventare definitiva, perché il francese non ha la “delega” del campo socialista. Non ce l’ha perché né lui né altri hanno il carisma per vedersela riconosciuta e perché, praticamente, il campo socialista non c’è: al vertice del leader del Pse i due principali protagonisti ieri non si sono presentati, né Hollande né Renzi hanno raggiunto i loro compagni di partito, che pure qualche decisione, faticosamente, hanno preso, hanno indicato due candidate per la presidenza del Consiglio e per l’Alto rappresentante. Ma poi, arrivati al Consiglio, lo staff di Renzi sorrideva su queste candidature (almeno sull’accoppiata), mentre quello francese sostanzialmente non le ha neanche considerate. In tutto questo, mentre Merkel era saldamente al tavolo, Renzi era a Roma, a fare altro, a governare certo, non a giocare. Ma è arrivato al Consiglio alle 19.40, per poi commentare con una frase che i colleghi europei gli faranno pagare cara: “Ci hanno fatto venire su dicendo che avremo chiuso l’accordo, poi con molta gentilezza, la gentilezza che gli è propria, il Presidente Herman Van Rompuy ha spiegato che l’accordo non c’era. Mi sono permesso di dirgli se la prossima volta ci manda un messaggino e ce lo fa sapere prima risparmiandoci così un volo di Stato per Bruxelles”. Non è una frase pronunciata da uno che ha partecipato ai lavori, di uno che è punto di riferimento, che ha le fila in mano. Ammette, Renzi, di essere fuori dalle trattative e di non volerci neanche stare (il che non vuol dire che poi l’Italia non avrà qualcosa magari anche di decente, sono due percorsi indipendenti).
Non basta avere il 41% dei voti in Italia per contare in Europa, non è un Monopoli dove si pagano 500 “soldi” e si prende l’albergo. Bisogna sapersi sedere al tavolo e saperci stare. Angela Merkel è famosa a Bruxelles perché durante i consigli (ai quali è sempre tra i primi ad arrivare) si mette seduta al tavolo e non si alza fino alla fine, tiene tutto sotto controllo, è concentrata su quello, conosce le carte e esercita il suo ruolo di leader sui fatti. I leader socialisti, questi leader socialisti, non lo fanno, ed è per questo che poi i mazzieri in Europa sono i popolari. Ma se non hanno a chi distribuire le carte il gioco si ferma per tutti.