Bruxelles – Dopo le schermaglie, lo scontro aperto. Anche se lo stesso commissario coinvolto, Olivér Várhelyi, titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, nega qualsiasi volontà di screditare l’istituzione che ormai gli è apertamente ostile, il Parlamento Europeo. “Quanti idioti ci sono ancora?” Un commento piccato all’assistente seduto al suo fianco, a microfoni teoricamente spenti e invece ancora accesi dopo la risposta a Tomislav Sokol, eurodeputato croato del gruppo del Partito Popolare Europeo. In ungherese, cosa che ha reso meno palese lo sgarbo all’intera istituzione comunitaria durante il momento del Question time sul rafforzamento della politica di allargamento dell’Ue nei Balcani Occidentali, ma che è stato comunque pizzicato in poco tempo sui social media.
Durissimi gli attacchi a Várhelyi da parte degli eurodeputati. “Questo è un insulto senza precedenti, un grave disprezzo del Parlamento, il commissario deve lasciare immediatamente il suo incarico“, è la richiesta del socialdemocratico ungherese Sándor Rónai. A fargli eco la verde olandese Tineke Strik: “Ero una di quegli idioti che chiedevano al commissario Várhelyi di sanzionare l’allineamento di Dodik con Putin e di portare avanti i colloqui di adesione con la Macedonia del Nord”, ha rivendicato l’eurodeputata del gruppo Verdi/Ale, incalzando sulla necessità di “occuparci noi stessi di un’indagine sulle funzioni del commissario”. Ancora più duro il liberale romeno Vlad-Marius Botoș (Renew Europe): “Olivér Várhelyi è il commissario nominato da Viktor Orbán“, uno degli “autocrati che non sanno cosa significhi rispetto, cosa sia la democrazia e come funzioni la divisione dei poteri nello Stato o nell’Ue”.
Di fronte alla bufera scoppiata nella mattinata di Strasburgo, lo stesso commissario Várhelyi ha pubblicato una nota in cui si è detto “sinceramente dispiaciuto per il malinteso suscitato dal mio commento alla sessione plenaria” del Parlamento Ue di ieri (14 febbraio). Non una scusa, ma una giustificazione: “Era legato a una conversazione privata e in corso in ungherese tra me e il mio capo di gabinetto su una questione completamente diversa, che è stata estrapolata dal contesto“. Le scuse sono solo “per ogni possibile malinteso al riguardo”, mentre il titolare per l’Allargamento ha assicurato di “rispettare pienamente tutte le istituzioni dell’Ue, compreso il Parlamento Europeo e i suoi onorevoli membri”. Dalla Commissione Ue il portavoce-capo, Eric Mamer, fa sapere che “la presidente von der Leyen prende atto delle scuse di Várhelyi e delle motivazioni, ma non ci sono piani di investigazioni”.
Ma questo non è considerato abbastanza per gli eurodeputati, come messo in chiaro dalla vicepresidente ungherese di Renew Europe, Katalin Cseh, alla ripresa dei lavori all’Eurocamera oggi pomeriggio (15 febbraio). “Anziché scusarsi pubblicamente, ha dichiarato di essere deluso perché frainteso, ma faceva riferimento a noi, che abbiamo il compito di sorvegliare la Commissione“, è l’attacco dai banchi dell’emiciclo dell’Eurocamera, con la richiesta rinnovata alla presidente dell’esecutivo comunitario di “avviare un’inchiesta sulle accuse di cattiva condotta, in particolare i suoi affari nella regione balcanica”. Con una nuova offensiva al commissario ungherese: “Non ci sorprende che chi è nominato da Orbán disprezzi le procedure democratiche, ma noi non lo tolleriamo e questo è un altro esempio del fatto che il commissario non è in grado di svolgere il proprio lavoro”.
Il confronto tra il commissario Várhelyi e gli eurodeputati
L’episodio di ieri e lo strascico di polemiche di oggi sono solo l’ultimo – e più acceso – degli episodi di scontro tra gli eurodeputati e il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento. Solo un mese fa ha fatto notizia la richiesta contenuta nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune di “avviare un’indagine indipendente e imparziale per verificare se la condotta e le politiche portate avanti” dal commissario Várhelyi costituiscano una “violazione del Codice di condotta per i membri della Commissione e degli obblighi del commissario ai sensi dei Trattati”. Le preoccupazioni dell’Eurocamera riguardano in particolare le notizie secondo cui il commissario “cerca deliberatamente di aggirare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Ue”.
Da un anno è oscuro il ruolo del commissario Várhelyi nella crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina, Paese che ha fatto richiesta di adesione nel 2016 e che è candidato ufficiale dal 15 dicembre dello scorso anno. Il 12 gennaio 2022 un gruppo di eurodeputati aveva inviato una lettera all’esecutivo Ue per chiedere conto delle possibili violazioni dell’imparzialità e neutralità del commissario responsabile per l’Allargamento Ue rispetto ai tentativi secessionisti della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba in Bosnia), guidati dal suo leader Milorad Dodik.
Várhelyi, prima di essere nominato commissario nel 2019, è stato ambasciatore a Bruxelles per l’Ungheria di Viktor Orbán. Nonostante il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell’esecutivo Ue rispetto agli interessi nazionali, il titolare della Politica di vicinato e l’allargamento è non solo sospettato dagli eurodeputati di aver avallato le posizioni di Dodik, ma anche di essere un sostenitore dell’opposizione di Budapest alle sanzioni economiche contro i responsabili della crisi istituzionale e democratica in Bosnia. Il premier ungherese Orbán ha portato avanti una politica di strette relazioni diplomatiche con il serbo-bosniaco Dodik e con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska. I tre leader politici sono anche accomunati a vario modo da posizioni quantomeno discutibili sulla Russia e sulle sanzioni internazionali: da quella ‘morbida’ di Orbán (in quanto membro dell’Ue) a quella ‘non-allineata’ di Vučić, fino a quella apertamente contraria di Dodik.