Bruxelles – Aumentare i tassi sì, ma con cautela e moderazione. Altrimenti le scelte prese sia pur con le migliori intenzioni, rischiano di provocare effetti indesiderati, primo fra tutto una frenata dei consumi. Un suggerimento che gli esperti si erano sentiti di dare alla Banca centrale europea e al suo consiglio direttivo, l’organismo responsabile delle decisioni di politica monetaria. Ma nonostante questo la Bce ha tirato dritto, andando avanti per la propria strada. Per rispondere all’inflazione crescente, trainata in particolare dall’aumento dei prezzi dell’energia, Francoforte ha iniziato ad aumentare i tassi sui rifinanziamenti principali, sui depositi e sui prestiti marginali già in estate, senza più fermarsi. Ha proseguito anche ieri (2 febbraio), alzandoli di mezzo punto, dicendosi pronta a fare altrettanto a marzo, e contro le indicazioni degli esperti.
Tra il 6 e il 12 gennaio di quest’anno, e quindi prima della riunione del board che decretato l’incremento di mezzo punto dei tassi, la Bce ha condotto il tradizionale sondaggio sui previsori. Questi, in estrema sintesi, hanno rilevato che la situazione complessiva mostra segnali incoraggianti. In particolare “la situazione energetica sta migliorando grazie a riserve di gas adeguate, una diminuzione dei prezzi, diversificazione dei fornitori e clima più caldo del normale”. Allo stesso tempo, però, questi sviluppi sono “controbilanciati dall’inflazione persistente e dal continuo trasferimento dei prezzi dell’energia ai consumatori, che danneggerà i redditi reali, e dall’aumento dei costi di finanziamento, a causa di aumenti dei tassi superiori alle attese“.
Quest’ultimo passaggio, dunque, accende i riflettori sulle decisioni che vengono prese dalla presidente Christine Lagarde e dai suoi esperti. Non si critica la scelta di mettere mano ai tassi, ma si nota comunque come gli addetti ai lavori, esterni alla Bce, notino scelte non preventivate su cui non si può fare a meno di interrogarsi. Perché il sondaggio per il primo trimestre dell’anno considera crescita e “inflazione, esclusi energia e generali alimentari”. Tanto è vero che previsioni, in termini di cifre, per queste voci, non ci sono. Ma le considerazioni in materia non possono mancare.
In generale “le aspettative per l’inflazione combinata di energia e cibo sono “al ribasso per il 2023 ma al rialzo per il 2024″. Una lettura che si spiega con l’intervento della politica. “Un certo numero di intervistati ha menzionato l’impatto delle misure governative sui prezzi dell’energia nel 2023 che potrebbero allentarsi, e quindi implicare una pressione al rialzo nel 2024”. Non a caso la prospettiva di un’inflazione “persistente” e il “pericolo di un aumento dei prezzi dell’energia, insieme all’incapacità dell’Europa di trovare nuovi fornitori di energia”, rimangono i rischi più citati.
In questo contesto, al momento incoraggiante ma pur sempre ammantato di incertezze, la Bce gioca al rialzo dei tassi, che grava inevitabilmente su mutui e prestiti. L’Eurotower è stata avvisata per tempo, ma evidentemente a Francoforte hanno prevalso considerazioni di altro tipo. Del resto le stime preliminari di Eurostat per gennaio indicano un’ulteriore riduzione generale dell’inflazione di 0,7 punti percentuali, a quota 8,5 per cento, e possono indurre a ritenere che questo sia il momento per riportare il costo della vita al valore di riferimento della Bce, il 2 per cento.