Bruxelles – Bisogna “rispondere alla doppia sfida della crisi energetica e all’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti”, e non a caso “in termini di settori, le nuove disposizioni sugli aiuti di stato dovrebbero corrispondere a quei settori interessati dall’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, e solo a quelli”. La strategia dell’Unione europea per sostegno e rilancio dell’industria che serve alla transizione verde e sostenibile alla fine si conferma la risposta alle mosse compiute sull’altra sponda dell’Atlantico. Margrethe Vestager conferma quanto già nell’aria, nel presentare le proposte di riforma delle regole Ue sottoposte ora all’attenzione dei governi degli Stati membri: l’Ue non può restare a guardare, e non fa nulla per nasconderlo. Semmai la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue responsabile per la Concorrenza conferma che quando si vuole le regole possono essere riviste.
“La competitività in Europa non può essere costruita sugli aiuti di Stato”, la premessa d’obbligo della danese in punta di diritto e di impostazione politica. Tuttavia “la decarbonizzazione dell’industria dell’Ue potrebbe, temporaneamente, richiedere un ulteriore impulso e incentivi per stimolare e mantenere gli investimenti nei settori strategici delle tecnologie pulite in Europa”. Del resto “dobbiamo dare una grande spinta all’industria dell’Unione europea”, e da questo punto di vista “l’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti può offrire un contributo”. Vestager conferma dunque la natura anti-Usa delle misure messe sul tavolo.
Avanti dunque con le nuove regole, che nelle intenzioni di Bruxelles dovrebbero restare in vigore fino al 31 dicembre 2025. Si tratta di incentivare la produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori e utilizzo di tecnologie per lo stoccaggio della cattura del carbonio (Ccs). Tutti settore chiave, che negli Stati Uniti sono sostenuti dall’Inflation Reduction Act, il piano da 370 miliardi di dollari di sussidi verdi per lo sviluppo delle tecnologie pulite. La risposta Ue è fatta di corsie preferenziali costituita da “calcoli più semplici e approvazione più rapida”. Come nel caso dell’idrogeno rinnovabile, per cui si prevede la possibilità di concedere aiuti “senza una gara d’appalto competitiva, a condizione che siano poste in essere alcune salvaguardie per garantire la proporzionalità del sostegno pubblico”.
C’è poi la proposta di autorizzare gli Stati a fornire aiuti sotto forma di percentuale fissa dei costi totali di investimento, e per le imprese contabilizzare le spese per la formazione non più come costo bensì come investimento, per tutto ciò che riguarda dichiarazioni di redditi e deducibilità fiscale. Ancora, nella proposta inviata ai governi si suggerisce anche la possibilità di un “aumento del massimale per gli aiuti di Stato alla formazione delle piccole e medie imprese ai sensi del regolamento generale di esenzione per categoria”.
Una strategia che se per Bruxelles si giustifica con la necessità di non perdere terreno e restare schiacciata dalla concorrenza internazionale in un settore, quello della green economy, dove si vuole continuare ad essere leader, in Italia quasi si rispedisce al mittente. Da quanto si apprende da fonti diplomatiche, la scorsa settimana l’Italia ha inviato una lettera proprio a Vestager in vista di queste proposte di riforma sugli aiuti di Stato. Giusto, nel merito, rivederle per rispondere all’Ira dell’amministrazione Biden. Ma per il governo Meloni tutto questo non andrebbe sganciato dal più ampio ragionamento sul riforma delle regole del patto di stabilità.
L’Italia vorrebbe che la riforma della governance economica fosse discussa insieme alla modifica delle regole sugli aiuti di Stato, congiuntamente, nel Consiglio europeo di marzo, evitando un approccio in due fasi. Alla base di questa richiesta il timore che un semplice allentamento delle regole sugli aiuti di Stato senza progressi sulle regole di bilancio comporterebbe rischi significativi per l’integrità e la coesione del mercato unico, date le differenze nella capacità fiscale degli Stati membri. La Commissione non sembra aver dato ascolto ai richiami dell’Italia, tenendo i due dossier separati.
Vestager è consapevole che “non tutti gli Stati membri hanno la stessa capacità di rispondere alla necessità di aiuti alle imprese”. Lo ripete lei stessa, nel corso della conferenza stampa. Per questo al fine di sostenere l’industria verde si propongono alcuni requisiti. Si vedrà, ad esempio, “se l’investimento è indispensabile ai fini del Green Deal, o se produce benefici per altri Stati membri”. A una prima occhiata sembra poco per rispondere alla richieste di Roma e fugare dubbi e timori tricolori, ma quello che l’esecutivo mette sul tavolo è solo una proposta. Serve che gli Stati, Italia compresa, la studino e la discutano.