Gas e petrolio mettono a rischio il Polo Nord. Il circolo polare artico, da anni motivo di corsa all’oro tra i Paesi che vi si affacciano, rischia di risentire dei mutati equilibri internazionali e del deterioramento delle relazioni tra Europa a Russia. Un documento di lavoro redatto dal Servizio di ricerca del Parlamento europeo, ricorda che la crisi ucraina “induce l’Unione europea a ridurre la propria dipendenza dalla forniture russe” e questo rilancia la corsa europea verso l’estrazione delle risorse che si trovano sotto i ghiacci della calotta artica. Ma mentre l’Ue sposa una linea di compromesso tra le esigenze di sfruttamento delle risorse e la salvaguardia ambiente, la Russia preferirebbe intervenire senza porsi troppo questioni. Nel 2013 il governo di Mosca si è impegnato a lavorare con l’Ue anche al Polo Nord (nel piano d’azione per la cooperazione energetica Ue-Russia fino al 2050), ma alla luce della crisi diplomatica tra i due blocchi non è escluso che il partner euroasiatico possa sentirsi libero di non attenersi troppo a quanto concordato. Per questo il Parlamento europeo – in base al documento di lavoro – chiede “speciale attenzione” per la protezione del Polo Nord.
Associazioni ambientaliste quali Greenpeace e Wwf hanno denunciato la pericolosità dell’attività russa, con Gazprom pronta a realizzare due nuove piattaforme petrolifere nel mare della Pečora (la parte sud-orientale del mar di Barents) per l’estrazione di greggio, piattaforme che si andranno aggiungere a quella già esistente di Prirazlomnaya, sempre di proprietà di Gazprom. Il rischio ambientale è elevato: in caso di fuoriuscite, il greggio resterebbe al polo compromettendo l’intero ecosistema. Le temperature rigide che impediscono l’evaporazione e l’assenza di tecnologie di pulizia adeguate del mare, pongono degli interrogativi. Finora si era riusciti a far ragionare il vicino russo, ma adesso la questione potrebbe cambiare. Anche perché è difficile far rinunciare il Cremlino ai suoi tesori nascosti: allo stato attuale nella regione artica ci sarebbero riserve di petrolio per 130 miliardi di barili e riserve di gas per un volume stimato attorno al milione e mezzo di miliardi di metri cubi (o 1.500 trilioni di metri cubi). Di questi giacimenti ricadono in territorio russo 95 miliardi di barili di greggio (sui 130 totali) e 1.390 trilioni di metri cubi di gas. Mosca è signora e padrona delle proprie ricchezze, e dall’alto del suo isolamento internazionale può disporre ancor più a proprio piacimento di ciò che l’Artico mette a disposizione.
L’Ue si è sin da subito detta a favore di un’estrazione sostenibile delle risorse, attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie per l’abbattimento dei rischi ambientali. Tecnologie ancora non disponibili, e che impongono di dover aspettare per l’estrazione. Peccato che il governo russo nel 2008 abbia adottato un documento politico il cui obiettivo è “trasformare l’Artico nella principale area strategica di risorse naturali entro il 2020”. La Russia non aspetterà, anche perché l’assottigliamento continuo dello strato di ghiaccio nel polo permetterà una sempre maggiore attività umana. Ed ExxonMobil (Stati Uniti), Eni (Italia) e Statoil (Norvegia), hanno già concordato con il produttore di petrolio russo, Rosneft, un ingresso nella regione prima del 2020. L’Ue dovrà quindi muoversi per cercare di assicurarsi uno sfruttamento davvero sostenibile del gas e del greggio polare.