Da settimane non si parla d’altro: Matteo Renzi l’ha posta come condizione per iniziare ogni dialogo sul futuro dell’Europa e per ottenerla è pronto a fare la voce grossa con la Germania. Ma se la flessibilità non fosse il problema? Se l’ottenimento di quell’elasticità nell’interpretazione del patto di stabilità e di crescita che l’Italia sta chiedendo in ogni modo, non portasse comunque alcun vantaggio considerevole per il nostro Paese? È quello di cui è convinto Ashoka Mody, professore di Economia Internazionale all’università di Princeton ed ex vicedirettore del dipartimento europeo del Fondo Monetario Internazionale, a Bruxelles per un evento organizzato dal think tank Bruegel, con il quale eunews ha avuto un colloquio. “Quello dell’Italia è un compito enorme”, ammette Mody e “non è sorprendente che, stretta tra una crescita bassa e un debito al 135% cerchi flessibilità”. Il problema è che Matteo Renzi “sta cercando nel posto sbagliato”.
Per prima cosa non si tratta di nulla di nuovo. “Sono almeno cinque anni che l’Italia e la Francia chiedono flessibilità, è una storia che si ripete” ma “la discussione non evolve, si ripetono sempre le stesse cose e alla fine non cambia nulla. È completamente infruttuoso”. Ma anche se questa volta dovesse realmente cambiare qualcosa “la domanda è: sarebbe abbastanza?”. Per l’economista di Princeton si tratta di una speranza vana: “Sono vent’anni che l’Italia non cresce – ricorda – il problema ha raggiunto una gravità tale per cui un margine di flessibilità nel patto di stabilità darebbe un risultato assolutamente frustrante”.
A questo punto, secondo Mody, le azioni da mettere in campo dovrebbero essere di ben altra portata. Di certo “aiuterebbe molto l’Italia il deprezzamento dell’euro”, per cui “serve coordinazione tra Bce e Fed” in nome di un “interesse globale”. Su questo Renzi “non può fare molto”, ma c’è, secondo l’economista, un’altra possibilità aperta dal Trattato di Maastricht che il premier italiano dovrebbe contemplare e cioè la cosiddetta clausola di “no bailout”, la regola secondo cui uno Stato non può farsi garante del debito di un altro Stato membro. La conseguenza di questo principio vorrebbe, spiega Mody, che lo Stato membro imponesse perdite ai creditori privati. Ma per anni, e ancora di più con la crisi economica, è passato il principio che gli investitori, se non per circostanze eccezionali, vengono salvati. Ma così, è convinto l’economista, non può funzionare: se non si impongono perdite anche ai privati creditori, il debito continuerà a crescere insieme alla fragilità finanziaria. Certo, dare un segnale di “non salvataggio” non è facile, soprattutto oggi ma “Renzi deve cominciare a parlare con i suoi creditori, e dire loro: ragazzi, siamo ragionevoli, serve un impegno reciproco”. Un compito non semplice ma, continua Mody, “se Renzi può negoziare con Merkel può negoziare anche con i suoi creditori”.
La situazione italiana, poi, va vista nel contesto di un’economia dell’Eurozona in lenta ripresa. Molto più lenta, secondo l’economista, rispetto a quanto messo in conto. “Le previsioni sulla ripresa dell’Eurozona sono troppo ottimistiche”, mette in guardia Mody, che guarda alla situazione europea da una prospettiva americana. “Ci sono diverse ragioni che fanno pensare che l’economia Usa stia cominciando a riprendersi, ma già questa ripresa è sopravvalutata”, dice. L’Eurozona, poi, è “chiaramente molto più debole degli Usa” e quindi la crescita dei Paesi dell’area euro va vista ancora più al ribasso. In cifre: “Per il 2015 si prevede una crescita intorno all’1,5% – ricorda Mody – ma io non sarei sorpreso se quella reale fosse intorno all’1-1,2%”. Insomma “non credo ci sarà un collasso ma la crescita potrebbe essere considerevolmente più bassa di quanto ci si aspetta”.