Bruxelles – A tre anni dall’inizio della pandemia Covid-19 l’Unione Europea si trova al punto di partenza. O quasi. La lezione sull’urgenza e l’efficacia della risposta comune tra i Ventisette per affrontare le continue nuove sfide dell’emergenza globale sembra non essere andata del tutto perduta, di fronte al rischio che si aprano crepe nella gestione degli arrivi dalla Cina da parte di ciascun Paese membro Ue. Non è un caso se una delle primissime decisioni della nuova presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Unione Europea è stata quella di convocare per mercoledì (4 gennaio) una riunione del meccanismo integrato di risposta politica alle crisi (Ipcr), per tentare di concordare una linea unica su restrizioni o requisiti di accesso al territorio comunitario.
“L’abolizione delle restrizioni alle partenze dalla Cina, in combinazione con la crescente diffusione del Covid-19 nel Paese, ha reso concreta la necessità di un’azione europea congiunta“, si legge nel comunicato della presidenza svedese, che si dice “pronta ad agire in tal senso”. Di fronte ai timori della notizia sulla nuova ondata di casi di infezioni da Coronavirus in Cina – dopo la fine della politica ‘zero Covid’ – e la contemporanea riapertura ai viaggi dall’8 gennaio, per l’Ue “è importante adottare rapidamente le misure necessarie”. L’obiettivo è quello di evitare sia una nuova ondata pandemica sul continente sia una frammentazione dei Ventisette nelle misure adottate, tra chi impone test ai passeggeri in arrivo (come Italia, Francia e Spagna) e chi invece non lo prevede.
“La Svezia intende agire rapidamente”, è quanto ribadisce Stoccolma, che anticipa il contenuto delle discussioni di mercoledì: “Si discuterà della questione delle restrizioni all’ingresso con l’obiettivo di concordare una linea comune”, in attesa della raccomandazione sugli ingressi nell’Ue dalla Cina “che la Commissione sta preparando prima della riunione”, ha precisato il ministro per gli Affari sociali, Jakob Forssmed.
Gli appelli all’unità contro il Covid-19
A proposito della necessità di una risposta comune a livello Ue, la commissaria per la Salute, Stella Kyriakides, ha ribadito la necessità di “trasparenza, solidarietà e approcci coordinati a livello transfrontaliero” di fonte alle “minacce alla salute globale”. Dopo la riunione di giovedì scorso (29 dicembre) del Comitato per la sicurezza sanitaria dell’Ue – il gruppo consultivo informale sulla sicurezza sanitaria a livello europeo – la titolare per la Salute nel gabinetto von der Leyen ha messo in chiaro che “dobbiamo lavorare insieme per affrontare gli impatti della situazione del Covid-19 in Cina“, con lo sforzo a livello Ue che rimane immutato: “Siamo pronti a offrire sostegno, comprese competenze in materia di salute pubblica e donazioni di vaccini”.
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Il ritorno d’urgenza del dossier Covid-19 sui tavoli degli esperti a Bruxelles si è reso necessario in particolare con l’ordinanza firmata dal ministro italiano della Salute, Orazio Schillaci, di introdurre tamponi antigenici obbligatori – e, in caso di positività, test molecolari – per tutti i passeggeri provenienti dalla Cina e in transito sul suolo italiano. Dal primo giugno dello scorso anno non è più in vigore l’obbligo di presentare il Certificato verde digitale dell’Ue (il Green Pass Europeo). “Ci aspettiamo che l’Unione Europea voglia operare in questo senso”, aveva affermato senza mezzi termini la premier, Giorgia Meloni, nel corso della conferenza stampa di fine anno a Roma.
La pandemia Covid-19 aveva trovato all’inizio del 2020 un’Unione impreparata ad affrontare una crisi sanitaria, anche per la mancanza di competenze dell’Ue in questa materia. Dopo mesi di ‘nazionalismo vaccinale’ – quando ogni Paese membro prendeva decisioni autonome sulla chiusura delle frontiere e l’acquisto di dispositivi sanitari – è emersa la riflessione sulla necessità di un’Europa più coordinata in materia di salute, a partire dai negoziati per l’acquisto congiunto dei vaccini (per abbassare i costi ed evitare concorrenza tra gli stessi Stati Ue).
È proprio a partire da questa esperienza che il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha messo in guardia contro il rischio di isteria e di mancanza di unità all’inizio del 2023. Sul territorio comunitario più del 75 per cento dei cittadini è vaccinato con almeno una dose e secondo l’Ecdc questo dovrebbe evitare un impatto in Europa derivante dall’impennata di casi in Cina (determinata anche dal basso livello di immunità nel Paese asiatico). “Restiamo vigili e saremo pronti a usare il freno di emergenza se necessario“, è la rassicurazione ai Ventisette, anche se è implicita la raccomandazione di evitare misure unilaterali che possano “discriminare popolazioni o gruppi in particolare”: le potenziali infezioni ‘importate’ dalla Cina rimangono “piuttosto basse” rispetto a quelle attualmente registrate sul territorio comunitario.