Bruxelles – L’ennesima vittoria di Pirro, un successo che fa rumore il giorno dopo le elezioni, ma che non cambia nulla sul piano della stabilità della Bulgaria. O sarebbe meglio dire dell’ormai cronica instabilità del Paese. L’ex-primo ministro, Boyko Borissov (in carica dal 2009 al 2013 e dal 2014 al 2021), ha vinto le elezioni di domenica (2 ottobre) conquistando un quarto dei voti, ma ora lo spazio di manovra per formare un nuovo governo è risicatissimo e passa da una strada di enorme compromesso con le forze politiche europeiste che da un anno e mezzo hanno promesso di non farlo tornare più al governo.
Secondo quanto emerge dai dati diffusi dalla commissione elettorale, il partito conservatore Gerb (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) di Borissov è tornato la prima forza nel Paese, con il 25,36 per cento delle preferenze. Al secondo posto, con il 20,2 per cento, il partito europeista e anti-corruzione Continuiamo il cambiamento del premier uscente, Kiril Petkov, seguito dal Movimento dei Diritti e delle Libertà (centrista, che rappresenta gli interessi della minoranza turca) al 13,71, dai radicali filo-russi di Rinascita al 10,17 e dal Partito Socialista Bulgaro (Bsp) al 9,31. Entrano in Parlamento per la prima volta i nazional-conservatori di Alzati Bulgaria dell’ex-premier ad interim (tra maggio e dicembre 2021), Stefan Yanev, mentre rimangono fuori i populisti di C’è un popolo come questo (Itn) guidati dallo showman Slavi Trifonov, che dopo il trionfo del luglio 2021 non sono riusciti a superare la soglia di sbarramento al 4 per cento.
Il risultato delle elezioni non modifica nemmeno stavolta lo scenario di incertezza politica che domina la Bulgaria dalla tornata elettorale dell’aprile dello scorso anno, prima di quattro in solo un anno e mezzo: da allora il voto di protesta è una costante contro la corruzione nel Paese, incarnata principalmente dai conservatori di Gerb. Se l’ex-premier Borissov è ancora in grado di muovere il 25 per cento dell’elettorato, ora sarà estremamente difficile formare una maggioranza nella Narodno Săbranie (il Parlamento unicamerale composto da 240 deputati) e, di conseguenza un governo. Continuiamo il cambiamento – del premier sfiduciato a giugno Petkov – non crolla nelle preferenze degli elettori bulgari, dopo il risultato a sorpresa del novembre 2021 (25 per cento alla prima apparizione elettorale) e sarà il primo interlocutore obbligato di Borissov, nell’improbabile scenario di una coalizione euro-atlantica – insieme alla destra moderata di Bulgaria Democratica (7,45 per cento) – formata da partiti e leader in dura lotta l’uno con l’altro sul piano politico e personale.
A questo punto il presidente della Repubblica, Rumen Radev, consegnerà il mandato di formare il nuovo governo a Borissov, che dovrà cercare una piattaforma di compromesso particolarmente ambiziosa. Se fallirà, il mandato passerà a Petkov, chiamato alla stessa impresa. In caso di un ennesimo fallimento, Radev sceglierà autonomamente la terza forza politica a cui consegnare l’ultimo tentativo di un esecutivo (verosimilmente di minoranza) e, se anche in questo caso non si troverà una soluzione, si passerà nuovamente dalle urne. Per la quinta volta in meno di due anni.
Osservano con attenzione gli sviluppi della situazione post-elezioni in Bulgaria sia Bruxelles sia Skopje. Dall’inizio di quest’anno il governo Petkov ha spinto sul dialogo con la Macedonia del Nord per risolvere la disputa storico-culturale che ha bloccato il cammino di adesione Ue macedone (e albanese, essendo legati i due Paesi balcanici da un unico dossier) dal dicembre del 2020. Nonostante il voto di sfiducia del 22 giugno, il leader riformista è riuscito a far approvare dall’Assemblea Nazionale la revoca alla richiesta di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, aprendo così ai negoziati mediati dall’allora presidenza di turno francese del Consiglio dell’Ue. Dopo intense discussioni nelle due capitali sulla proposta di mediazione francese, il 18 luglio si è arrivati alla firma del protocollo sui negoziati di adesione di Skopje e Tirana e la successiva apertura del processo di adesione dei due Paesi balcanici a Bruxelles.
Una strada tortuosa che per il momento ha messo fine alla posizione intransigente della Bulgaria, inaugurata proprio dell’ex-premier Borissov due anni fa in Consiglio, quando aveva posto il veto ai negoziati e aizzato i sentimenti nazionalisti anti-macedoni di parte della popolazione bulgara. Il suo ritorno al governo rischierebbe di porre nuovi ostacoli sull’allargamento dell’Unione nella regione, anche se l’assenza di stabilità politica non gli conferirebbe un mandato solido e i partner riformisti di una coalizione poco unita gli imporrebbero senza dubbio un’agenda coerente agli sforzi degli ultimi mesi sul piano dei rapporti con Skopje e Bruxelles.
Il coordinatore nazionale di Forza Italia e vicepresidente del Partito Popolare Europeo, Antonio Tajani, ha espresso su Twitter la propria soddisfazione per il risultato ottenuto da Borissov in Bulgaria: “L’auspicio è che si trovi una stabilità al governo per consentire al Paese di superare la difficile crisi economica che sta attraversando”. Dure le critiche dal gruppo dei Verdi/Ale al Parlamento Europeo: “Come se la corruzione negli anni di Borissov non fosse mai avvenuta per il Ppe“, ha attaccato l’eurodeputato tedesco Daniel Freund.
it's as if the corruption in the Borissov-years never happened for EPP pic.twitter.com/xQpEb99nOx
— Daniel Freund (@daniel_freund) October 3, 2022