Bruxelles – Le prime volte difficilmente si scordano, anche quando l’esecutivo comunitario viene più volte accusato di lentezza e poca incisività per la protezione del budget comunitario. Perché questa prima volta segna uno spartiacque nella posizione della Commissione Ue nei confronti dell’Ungheria di Viktor Orbán: a cinque mesi dall’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto, il gabinetto von der Leyen ha deliberato all’unanimità la proposta di sospendere il 65 per cento dei fondi che Budapest avrebbe dovuto ricevere attraverso la politica di coesione dell’Unione, quantificabili sui 7,5 miliardi di euro. Dall’entrata in vigore del regolamento il primo gennaio 2021, l’Ungheria è il primo Paese membro che potrebbe vedersi tagliati i fondi comunitari in caso di non allineamento agli standard dello Stato di diritto dell’Unione.
“Ora sarà chiaro che siamo pronti a proteggere il budget comunitario in ogni modo, ma siamo anche fiduciosi che alla fine vedremo un impegno positivo dell’Ungheria”, ha sottolineato con forza in conferenza stampa – dopo un collegio straordinario e insolitamente di domenica mattina – il commissario per il Bilancio e l’amministrazione, Johannes Hahn. La procedura era iniziata lo scorso 27 aprile, con la notifica scritta della Commissione inviata a Budapest, il primo passo della procedura che permette all’Ue di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio pluriennale a un Paese membro, quando le violazioni dello Stato di diritto hanno o rischiano di avere un impatto negativo sul bilancio europeo. L’attivazione del meccanismo è stata giustificata da “serie preoccupazioni” sull’uso dei fondi attraverso il quadro finanziario pluriennale 2021-2027, in particolare per quanto riguarda il public procurement (spesa pubblica destinata all’acquisto diretto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione), audit (valutazioni indipendenti di controllo delle spese), trasparenza, prevenzione delle frodi e corruzione.
Nonostante l’impegno di Budapest con “17 misure nel corso dell’estate, che corrispondono ai giusti passi per un impegno costruttivo” – tra cui una nuova task force anti-corruzione e regole più trasparenti sulla nomina dei procuratori – il gabinetto von der Leyen ha rilevato che “diverse questioni richiedono ancora più tempo e impegno” e che “non è possibile concludere che il budget comunitario sia protetto adeguatamente”, ha spiegato il commissario Hahn. Come si legge nella decisione del collegio dei commissari, sono tre i programmi operativi della politica di coesione interessati dalle misure proposte e che dovrebbero essere finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’. Parallelamente la Commissione ha proposto il divieto di assumere nuovi impegni giuridici con i trust di interesse pubblico e con le entità da essi gestite nell’ambito di qualsiasi programma dell’Unione in gestione diretta e indiretta.
Le rilevazioni della Commissione “hanno dimostrato l’incapacità sistemica, l’insuccesso o la mancanza di volontà da parte delle autorità ungheresi di prevenire le decisioni che violano la legge applicabile in materia di appalti pubblici e conflitti di interesse”, e di conseguenza “di affrontare adeguatamente i rischi di corruzione”. A questo punto, mentre l’Ungheria dovrà informare entro il 19 novembre la Commissione Ue sull’implementazione delle misure promesse con la lettera del 22 agosto, a Bruxelles la palla passa ora al Consiglio, che avrà un mese per adottare (a maggioranza qualificata) queste misure. Periodo di tempo che potrebbe essere esteso di due mesi “in circostanze eccezionali”, specifica l’esecutivo comunitario, che continuerà a monitorare gli sviluppi e a riportare ai Ventisette “qualsiasi elemento rilevante”. Rimane alta l’attenzione sulle continue violazioni dello Stato di diritto nell’Ungheria di Orbán, definita una “autocrazia elettorale” dal Parlamento Ue: “La risoluzione non è stata una sorpresa, ma non saremmo qui se non avessimo iniziato mesi fa con questo meccanismo”, ha commentato il commissario per il Bilancio.
Quella in corso è una procedura amministrativa, non penale, e questo significa che non ha effetti legali né può essere impugnata. Nel novembre dello scorso anno erano state inviate due lettere a Budapest e a Varsavia (sulla Polonia la Commissione deve ancora esprimersi) con una richiesta di spiegazioni sulle violazioni dello Stato di diritto in atto. In risposta, i due Paesi membri si erano rivolti alla Corte di Giustizia dell’Ue, ma il 16 febbraio i loro ricorsi sono stati respinti: i giudici europei hanno sottolineato che il meccanismo è stato adottato “sul fondamento di una base giuridica adeguata”, che rispetta “i limiti delle competenze attribuite all’Unione e il principio della certezza del diritto” e che è compatibile con la procedura prevista all’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. In sostanza, un meccanismo parallelo e non in contrasto con la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” da parte di un Paese membro dei principi fondanti dell’Unione.