Bruxelles – “Le spese per la mitigazione del cambiamento climatico mettono a dura prova i bilanci pubblici”, ma soprattutto “l’onere finanziario della transizione viene spostato sulle generazioni future” se si decide di finanziare l’attuazione del Green Deal col debito. L’altra faccia dell’agenda verde dell’Unione europea è questa, il rischio che la sostenibilità ambientale diventi insostenibilità finanziaria, per governi e cittadini. Il contributo ai lavori in corso a livello europeo arriva dal centro studi dell’Europarlamento, in un’analisi sugli impatti economici della transizione sostenibile che si inserisce nel ragionamento in atto sulle regole di bilancio e spesa comuni.
Prima la crisi sanitaria innescata dalla pandemia di COVID-19, poi la guerra russo ucraina con la crisi-energetica che ne è derivata hanno messo sotto pressione i bilanci nazionali. Il debito di tutti gli Stati membri ha ripreso ad aumentare. Troppo, a detta di tutti. Tanto è vero che si è tornati a insistere sulla necessità di tenere sotto controllo spesa e tornare alla disciplina di bilancio. A ottobre la Commissione europea presenterà le proposte di riforma del patto di stabilità, a novembre il pacchetto economico con le raccomandazioni specifiche. Sarà l’occasione per ragionare sulla nuova governance europea dell’Unione europea. E non c’è dubbio, per gli analisti dell’Europarlamento, che “la transizione verso la neutralità climatica richiede una solida governance economica per gestire il rischio per la stabilità macroeconomica e finanziaria”.
Le sfide insite nel Green Deal, e più ancora nella sua attuazione, dunque non sono poche, e non di lieve entità. Il centro studi e ricerche del Parlamento Ue non nasconde i “rischi significativi” che la rivoluzione verde pone per produzione e occupazione, oltre che per conti pubblici e generazioni future. C’è la serie possibilità di ricadute asimmetriche. “In alcuni paesi, industrie e gruppi di lavoratori potrebbero essere colpiti in modo sproporzionato”. Per questo motivo serviranno correttivi tempestivi. Vuol dire riforme. “Le politiche del mercato del lavoro possono contribuire a una transizione di successo facilitando il cambiamento strutturale richiesto”. Un messaggio politico, visto che le politiche del lavoro sono di competenza dei Paesi. Un messaggio che sa di richiamo per l’Italia, laddove si suggerisce di procedere al taglio del cuneo fiscale per le imprese, che l’Europa chiede ai vari governi tricolore da anni.
Le cose stanno così: con la trasformazione che il Green Deal determinerà sul mercato del lavoro, la creazione di nuovi posti di lavoro “riguarderà principalmente i lavoratori a bassa e media qualifica, compensando alcuni degli impatti negativi della transizione digitale sulla domanda di manodopera poco qualificata”. Tuttavia, “senza politiche di riduzione dell’imposta sul lavoro, i lavoratori altamente qualificati potrebbero essere colpiti in modo più negativo rispetto a quelli poco qualificati”. Il Green Deal dunque irrompe dunque nelle raccomandazioni specifiche per Paese.