Il ministro Madia lo ha ribadito lunedì: entro quindici giorni la nomina del nuovo direttore generale dell’AgId, l’Agenzia per l’Italia digitale. Una priorità per il governo Renzi, che della semplificazione e della velocizzazione della pubblica amministrazione, e dell’introduzione dell’uso della rete, ha fatto una bandiera ed una priorità, non solo politica, ma di governo.
E tuttavia le logiche e le sintassi legate alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione restano, a sentire le relazioni e a guardare le priorità, quelle analogiche, più che digitali. Non solo. Un dibattito così importante rischia di essere considerato dall’opinione pubblica come marginale quando non ad uso esclusivo degli addetti ai lavori. Si discute ancora di OpenData, ovvero di quali dati e informazioni rendere accessibili al cittadino da parte della pubblica amministrazione, e si ragiona ancora di eventuale unificazione dei database, della loro titolarità, come se si trattasse di un “trasferimento di informazioni”. Peggio. Quando si parla di “uomini” si dice basta a “super esperti di nicchia” per scegliere “dirigenti capaci di affrontare problemi concreti”.
Il concetto in sé non fa una piega, se non fosse che si perde di vista di cosa stiamo parlando: qualcosa di più rivoluzionario di quando, per evitare i problemi di interpretazione calligrafica del singolo impiegato, lo Stato introdusse le macchine da scrivere. Il paragone sembrerebbe non reggere, ma parliamo esattamente di questo: un unico “modo” di scrittura delle informazioni, in uno standard unico e unificante che renda “leggibile, fruibile e interpretabile” un dato, un atto, un’informazione, da parte dello Stato e dei cittadini. Certo, lo stato dell’arte è che ad oggi, per gelosie locali o vero e proprio terrore della trasparenza, le pubbliche amministrazioni faticano anche solo a concepire di mettere in rete le informazioni relative a stipendi, nomine, forniture, appalti, bilanci delle proprie strutture e società controllate e partecipate, spesso dietro una visione distorta e farraginosa di una presunta privacy.
Tuttavia quello che va compreso è che il ritardo del nostro paese si può trasformare in opportunità, a patto di comprendere che il momento richiede non tanto “dirigenti capaci di affrontare problemi”, quanto un pool capace di avere una visione: complessiva, alta, articolata, abbandonando le logiche di parte e di appartenenza, e tenendo conto che il vero avversario, laddove non vero e proprio nemico, è la struttura stessa (si badi, non le persone!) della macchina amministrativa del nostro Paese. Se il tema viene, corresponsabili i media, scambiato per una “roba di nicchia”, proviamo a chiarire quali possono essere gli scenari concreti di una digitalizzazione di un paese come il nostro.
Per le imprese: abolizione delle Camere di Commercio, possibilità di aprire un’azienda senza andare da un notaio, direttamente online, con una spesa massima di un centinaio di euro. Ottenere certificati a un euro, poter inviare dichiarazioni, verbali, bilanci in tempo reale in un sistema che si auto-aggiorna in poche ore. Per le imprese con meno di 15 dipendenti parliamo di un risparmio di oltre mille euro l’anno. E duemila per le nuove imprese.
Poter scaricare visure catastali, mappe, piani regolatori, significa per un’impresa poter scegliere dove collocare la propria struttura in un giorno, e non più perdendo mesi e risorse in attesa di atti cartacei da parte dei singoli comuni. Significa poter conoscere in tempo reale la propria situazione fiscale, contributiva, e poter dialogare e chiedere chiarimenti direttamente alla pubblica amministrazione competente, semmai potendo prendere visione dei conteggi prima di dover inutilmente sprecare tutti tempo e risorse in opposizioni per cartelle esattoriali sbagliate. Significa poter partecipare a una gara di appalto per una fornitura che non si sapeva nemmeno esistesse.
Per i cittadini significa tutto questo, ma anche poter pagare multe, controllare la propria posizione contributiva, variare la propria residenza, richiedere duplicati di documenti, comunicare una variazione catastale, ricevere in tempo reale il calcolo degli oneri edilizi, senza file, in poche ore, e con meno spese. Significa anche conoscere in tempo reale come funziona e quanto spende la pubblica amministrazione, che tutti noi paghiamo con le nostre tasse, segnalare un disservizio, conoscere l’importo di un appalto e semmai potersi candidare per un posto di lavoro, inviare il proprio curriculum, segnalare un disagio.
Per lo Stato significa poter offrire un servizio migliore, più veloce, meno costoso, e con minori margini di errori e dispendio di risorse complessive. Ma significa anche ridurre progressivamente il numero del personale e dei costi e delle strutture necessarie ad erogare i servizi. Significa avere un aggiornamento in tempo reale della mappa immobiliare comune per comune, dei passaggi di proprietà, delle condizioni degli edifici, delle esigenze scolastiche e urbane.
Se pensiamo che tutto questo sia lontano dalla realtà, ci basta pensare che l’amministrazione comunale di una città come Londra che serve mediamente 12milioni di cittadini, ha un personale di 8.500 dipendenti, mentre una città come Roma, per servirne circa 3milioni ne ha oltre 23mila. E questo senza entrare nel merito di problematiche specifiche, da un lato, ma anche del grado di efficienza dall’altro. Non solo un terzo dei dipendenti, ma soprattutto un quinto delle strutture, in termini di fitti, utenze, spazi. Dipendenti molto meglio pagati, con un grado di professionalità ben maggiore, cui corrisponde anche un adeguato “rispetto sociale”.
Ecco che quindi, per fare e immaginare questa rivoluzione della concezione stessa dello Stato, non occorrono “dirigenti capaci di affrontare problemi”, questi semmai sono funzionali a che le cose poi si facciano, ma serve “una visione”, qualcuno che abbia l’esperienza, ma anche l’indipendenza – da partiti, correnti, interessi, aziende – per poter disegnare uno scenario, un nuovo modo di concepire il rapporto Stato-Cittadino e i conseguenti diritti reali di servizio e cittadinanza.
Per farlo, è come se dovessimo avere il coraggio di ri-affidare l’Agip in liquidazione a un Mattei che la faccia diventare una nuova Eni. Se accettiamo – tutti – questo percorso, allora vale la pena ricordare che la sua forza fu circondarsi dalle migliori menti, i “super esperti di nicchia”, indipendentemente da storia, provenienza e colore, capaci di realizzare un grande progetto.
In questo senso non c’è “un” candidato alla direzione dell’Agid, ma siamo implicitamente tutti noi che ci occupiamo di questi temi chiamati a collaborare a che il progetto di un’Italia Digitale diventi anche quello di un’Italia reale.
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