Bruxelles – “Ristagno” economico alla fine dell’anno e nel primo trimestre del 2023, ma sopratutto “recessione“. Sono le parole chiave della conferenza stampa di Christine Lagarde che confermano una volta di più i timori per la tenuta dell’eurozona. Guerra in Ucraina, crisi energetica, il deprezzamento dell’euro che “ha una impatto immediato sulle importazioni”, e un’inflazione che “rimane alta e che lo resterà” ancora per molto tempo sono tutti fattori che la presidente della Banca centrale europea elenca quali elementi per il rallentamento economico previsto dallo staff dell’eurotower. Le previsioni di crescita della zona euro sono riviste al ribasso. Andamento del Pil previsto al 3,1 per cento nel 2022, 0,9 per cento nel 2023, 1,9 per cento nel 2024. Rispetto alle previsioni economiche d’estate della Commissione europea (2,6 per cento per il 2022, 1,4 per cento per il 2023), un miglioramento per l’anno in corso, un peggioramento per quello che si affaccia. Con tutto ciò che ne deriva. “E’ probabile che il rallentamento dell’economia porti a un aumento del tasso di disoccupazione“.
Ma esistono altre cifre, diverse rispetta a quelle fornite dalla Bce e dalla sua presidente. Esiste uno scenario peggiore. Lagarde lo rivela solo perché incalzata dalla stampa nel corso della conferenza stampa. Di fronte ai timori di una recessione, confermati anche dalla Commissione, da Fraconforte escono tutti numeri col ‘segno più’. Come mai? Qui la francese è costretta a riconoscere che quello diffuso “è lo scenario base, ma abbiamo anche uno scenario peggiorativo, e qui i numeri sono 2,9 per cento nel 2022, -0,9 per cento nel 2023“. Eccola la recessione, che la Bce non può nascondere. E’ legata all’andamento della guerra, e soprattuto al rischio di un taglio completo delle forniture dell’energia e razionamenti della stessa. Ad ogni modo, anche nel peggiore dei casi “prevediamo che la recessione possa finire con il 2023”. Per ora.
Tutto il lavoro della Bce “si basa sui numeri e le proiezioni” di una situazione che sfugge al controllo. Per questo, spiega, “le nostre decisione saranno prese di volta in volta, seduta dopo seduta”. Intanto, per cercare di porre un freno all’inflazione dilagante, il consiglio direttivo decide di aumentare i tassi di interesse di 0,75 punti. Una scelta che appare obbligata, ma che non è scevra da ripercussioni. Perché vuol dire aumentare il costo con cui si presta denaro. Vuol dire mutui più cari per chi deve chiederne uno, aumento della rata per chi lo ha già. Una stangata per le famiglie, ma pure un problema di accesso al credito per le imprese.
A Francoforte però sono consapevoli che non si può restare a guardare. Le ultime stime dei tecnici della Bce ora vedono una nuova impennata dell’inflazione. Si prevede un valore medio dell’8,1 per cento quest’anno, del 5,5 per cento per il prossimo. A luglio la Commissione forniva ben altre cifre: 7,6 per cento per il 2022, 4 per cento per il 2023. Il peggioramento c’è, ed è per questo che Lagarde raccomanda ai governi misure contro il caro-energia che siano “mirate e temporanee, per evitare che alimentino la spirale inflattiva”. Del resto, scandisce, “io non posso riformare il mercato dell’energia, ed è un bene che la Commissione stia compiendo passi in tale senso”, perché “la politica monetaria non può ridurre i prezzi dell’energia“. Un compito che spetta ad altri.
A partire dal 14 settembre il tasso di interesse sulle principali operazioni di rifinanziamento e il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sulla linea di deposito saranno portati rispettivamente all’1,25 per cento, 1,50 per cento e 0,75 per cento, con la Bce pronta ad “aumentare ulteriormente i tassi di interesse” se lo riterrà necessario.