Bruxelles – C’è una frase che si ripete in tutti gli interventi dei leader della comunità internazionale che hanno preso parola oggi (martedì 23 agosto) al secondo summit della Piattaforma per la Crimea: “L’occupazione illegale della penisola da parte della Russia non sarà mai riconosciuta“. Dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al primo ministro canadese, Justin Trudeau, fino ai premier dimissionari Mario Draghi e Boris Johnson, è arrivata una risposta coerente all’appello del leader ucraino, Volodymyr Zelensky, di “liberare la Crimea per arrivare davvero alla vittoria e a ristabilire il diritto internazionale”. Perché “tutto è iniziato in Crimea” nel 2014 e la guerra in Ucraina “deve finire in Crimea”.
Secondo quanto ribadito con forza dal presidente ucraino, la penisola “non è solo un elemento del gioco geopolitico, ma parte della nostra comunità, a cui abbiamo il dovere di garantire libertà e democrazia”. La promessa si inserisce all’interno del più ampio quadro dell’adesione dell’Ucraina all’Ue: “Dopo la de-occupazione, tutti noi potremo cogliere questa opportunità colossale e anche la Crimea sarà connessa al resto dell’Europa“. Al tavolo di discussione sul presente e il futuro della Crimea – inaugurato nel 2021, quando ancora l’opinione pubblica internazionale sembrava aver dimenticato l’aggressione militare russa di otto anni fa – hanno partecipato in videocollegamento diversi leader Ue e internazionali, che hanno confermato il sostegno umanitario, finanziario e militare a Kiev e le sue aspirazioni di integrazione nell’Unione Europea.
La presidente della Commissione von der Leyen ha confermato che l’Ue è “l’amica più prossima dell’Ucraina”: mentre le sanzioni internazionali “stanno minando la macchina della guerra di Putin”, da Bruxelles non si smette di denunciare la “oscura realtà dell’occupazione russa” in Crimea, usata come “terreno di prova per i metodi brutali contro la popolazione ucraina“. È dal 2014 che il Cremlino porta avanti questa invasione e ora “usa la penisola come luogo di transito per le deportazioni verso i campi di prigionia in Russia”, ha accusato il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, che ha anche attaccato Mosca per la “militarizzazione della fame nel mondo” e per i rischi di “disastro nucleare presso la centrale di Zaporizhzhia”.
La minaccia riguarda proprio gli attacchi missilistici quotidiani al territorio ucraino che partono dalla penisola occupata: “Dal 24 febbraio sono stati 750, stanno distruggendo le infrastrutture civili, ma anche i porti sul Mar Nero”, ha avvertito Zelensky. Una tattica confermata anche dal segretario generale della Nato Stoltenberg: “L’inverno sta arrivando e sarà duro, sarà una battaglia di logistica e noi dobbiamo supportare l’Ucraina sul lungo termine”. Dal cancelliere tedesco Scholz è arrivata la conferma che “i partner internazionali sono più uniti che mai, anche sulla fornitura di armi” e ha anticipato che a ottobre sarà organizzata a Berlino una conferenza di esperti di alto livello per la ricostruzione dell’Ucraina (ospitata in qualità di presidente del G7 e in collaborazione con Bruxelles).
Di grande impatto l’intervento di Draghi, che entro la conferenza di ottobre potrebbe aver già consegnato il testimone al prossimo o alla prossima premier. “La liberazione della Crimea è parte della lotta per liberare l’Ucraina” dall’occupazione russa, ed è per questo che in tutti questi anni l’Italia ha “costantemente condannato la militarizzazione della penisola”, così come la “violazione dei diritti umani della comunità dei Tatari”. Il primo ministro italiano ha messo in chiaro senza mezzi termini – e questo sembra un messaggio a chi arriverà a Palazzo Chigi dopo di lui – che Roma “continuerà a supportare l’Ucraina, per la protezione della democrazia, dell’indipendenza e della sovranità territoriale”.