Articolo di Nicoletta Pirozzi su Affarinternazionali.it
Le defezioni dalla maggioranza di governo del Movimento 5 Stelle, di Lega e Forza Italia hanno messo fine all’esperienza del governo guidato da Mario Draghi. Molti leader europei ed internazionali, alla vigilia della crisi, dal Presidente americano Biden al premier spagnolo Sanchez, fino al presidente ucraino Zelensky, avevano fatto arrivare il proprio sostegno pubblico a Draghi. I vertici europei, a partire dalla Presidente della Commissione Europea von der Leyen, sebbene rispettosi del consueto riserbo istituzionale, avevano fatto trasparire la loro preoccupazione rispetto alla possibile caduta del governo italiano e l’avvio del processo che porterà a elezioni anticipate in autunno.
Gli osservatori più avveduti in Italia si sono apprestati a giudicare la mossa dei partiti che non hanno dato il loro sostegno al premier come azzardata e incosciente. La stessa incredula preoccupazione la troviamo espressa sui principali quotidiani internazionali, dal New York Times a Le Monde. Eppure, sebbene la legislatura si chiuda con qualche mese di anticipo, le elezioni erano all’orizzonte e tutti erano consapevoli che la “pax draghiana” accettata da tutte le principali forze politiche ad eccezione di Fratelli d’Italia sarebbe finita. Come mai l’uscita di scena di Mario Draghi e il ritorno alle urne desta tanto scompiglio in Europa e a livello internazionale? Le motivazioni principali si possono riassumere in due elementi: alleanze e politiche.
Congiunture internazionale e asse franco-tedesco
La prima motivazione ha a che fare con l’attuale congiuntura internazionale, che ha visto l’Italia, sotto la guida di Mario Draghi, passare da ventre molle dell’Europa per le sue ambigue posizioni rispetto alla Russia a uno dei paesi in prima linea nella strategia di fermezza contro l’aggressione di Putin all’Ucraina. Tale posizione, in linea con l’ispirazione atlantista ed europeista del governo Draghi, era stata risaldata dalle recenti missioni del premier Draghi a Washington e a Kyiv insieme al presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz. Ora c’è il timore nelle cancellerie internazionali che la campagna elettorale e l’eventuale vittoria di forze politiche che hanno avuto una posizione ondivaga nei confronti della Russia, come Movimento 5 Stelle e Lega, possa destabilizzare questa strategia e rompere l’unità europea ed occidentale.
L’uscita di scena di Mario Draghi mette in discussione, nello specifico, un lavoro molto efficace di ancoraggio dell’Italia al motore franco-tedesco, obiettivo perseguito da molti governi in passato – con l’eccezione recente del governo giallo-verde del 2018 – ma che con Draghi aveva subito un’accelerazione e raccolto successi concreti. In particolare, va menzionata la firma del Trattato del Quirinale tra Roma e Parigi, che coordina l’azione delle due capitali a livello europeo, e le discussioni in corso per un Piano d’Azione italo-tedesco, che dovrebbe individuare una serie di ambiti specifici di collaborazione tra i due Paesi. La loro attuazione sarà certamente legata al lavoro delle amministrazioni dei tre Paesi, ma è chiaro che un efficace coordinamento dipende in larga misura dal capitale politico dei vertici dello Stato, che Mario Draghi non potrà più garantire.
Pnrr e riforme
Dal punto di vista delle politiche, questi mesi saranno cruciali per l’attuazione del PNRR, vincolato ad una serie di riforme pesanti come quelle della concorrenza e della giustizia, e di scadenze pressanti per la realizzazione dei progetti in cantiere. Resta il dubbio che un governo dimissionario incaricato solo degli affari correnti – sebbene dentro un perimetro ampio come quello evocato dal Capo dello Stato Mattarella – riesca a tenere il ritmo e soprattutto che il nuovo/la nuova Presidente del Consiglio riuscirà a gestire quest’impresa, considerati anche i possibili ritardi nella composizione del nuovo governo e le scadenze della legge finanziaria.
Ma in questi mesi si apre anche il cantiere delle riforme europee, che vanno dal ripensamento delle regole finanziarie al completamento della governance economica, dalla partita del tetto al prezzo delle importazioni di gas alle misure per la transizione ecologica del Green Deal, fino alle politiche di migrazione e asilo. Sono battaglie cruciali per il futuro dell’Europa e in molti a Bruxelles e nelle principali capitali speravano di poter contare sulla credibilità e l’expertise di Mario Draghi per portarle a compimento.
Italia anello debole
Questo spiega come mai c’è così tanta agitazione rispetto all’ennesima crisi di governo italiana, questa volta generata in piena estate e nel mezzo di una crisi internazionale senza precedenti recenti, e perché si teme che l’Italia tornerà ad essere sorvegliato speciale d’Europa, e non il partner affidabile che il governo Draghi aveva garantito. Come sempre, il Paese sopravviverà, ma le speranze di riforme strutturali ambiziose andrà fortemente ridimensionata, così come ridimensionata sarà la sua capacità di incidere in maniera significativa sulle principali partite internazionali che definiranno l’Europa e il sistema globale del prossimo futuro.