Sta andando, purtroppo, tutto al contrario di quanto aveva chiesto Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, con saggezza, aveva chiesto di mettersi d’accordo prima sulle cose da fare in Europa, su come farle, e poi di scegliere le persone più adatte a realizzare il progetto.
Sembra che, a meno di sorprese assolute, stia accadendo proprio il contrario, in una convulsione delle forze “tradizionali” che non stanno ascoltando i messaggi che vengono dagli elettori europei e si sono chiuse nel ridotto degli stessi schemi che hanno portato alla disaffezione se non all’acrimonia che tanti europei hanno espresso nelle ultime elezioni verso l’Ue e le sue istituzioni.
Alla faccia della richiesta di Renzi, che avrebbe costretto i leader a guardarsi in faccia e decidere che fare, già da alcuni giorni è stato stabilito, con una certa ufficialità, che il prossimo presidente della Commissione europea, indicato dal Consiglio europeo di questa settimana, sarà il popolare lussemburghese Jean-Claude Juncker. Lo ha chiesto il Parlamento, lo ha chiesto Angela Merkel e lo hanno confermato i capi di governo socialisti riuniti sabato a Parigi. Un’idea di Hollande, con il quale non a caso, a quanto si è visto, Renzi ha fatto di tutto per farsi vedere insieme il meno possibile (e non ha neanche parlato alla fine dei lavori, quasi a non voler sottolineare la sua presenza lì). Ora, che un presidente della Repubblica il cui partito è stato umiliato al 14%, sconfitto dai conservatori a dai nazionalisti anti-europei di Marine Le Pen, si fa protagonista di un incontro tra leader socialisti i quali decidono di nominare a capo della Commissione un conservatore, ex presidente dell’Eurogruppo negli anni dell’austerità che non si era presentato alle elezioni europee come candidato, non sembra abbia scelto la mossa più lungimirante da fare. Inoltre, a dirla tutta, Juncker è stato per 19 anni premier del paese regno delle banche europee ed è caduto per uno scandalo (che non lo ha coinvolto) nel quale è stato accusato di non aver saputo vigilare sui servizi segreti (che sembra abbiano fatto alcune truffe). Uno che non sa controllare i servizi segreti del Lussemburgo, uno stato di 400 mila abitanti, non offre enormi garanzie per governare l’Europa di 500 milioni di abitanti. Certo, è un vero europeista, certo, ha un’enorme esperienza: ma qual è il programma? Perché dovrebbe offrire qualcosa di nuovo un esponente, pur prestigioso e anche simpatico, del passato come è Juncker? E’ proprio la vittoria del vecchio e, anche qui, a dirla tutta, neanche si fa vedere o sentire in giro da almeno due settimane e il programma di governo lo sta scrivendo, per lui, il presidente del Consiglio europeo uscente Herman van Rompuy (i temi centrali, ovviamente sono lavoro e crescita), andando al di là di ogni sua competenza, poiché questa cosa non è scritta da nessuna parte: uno che lascia scrive il programma per quello che resta?
Soprattutto: dov’è Juncker?
E’ stato questo il primo goal nella rete dei socialisti realizzato dall’unico vero statista che c’è in Europa, Angela Merkel. E’ l’unica che, fatti i suoi conti e patti in patria, all’esterno riesce ad imporre la sua volontà sugli altri, che non hanno idee, coraggio o proposte alternative, va detto. Uno solo è davvero arrabbiato contro la scelta di Juncker, e non lo è per nobili motivi, a dire il vero. E’ il britannico David Cameron, il quale ha giurato che le proverà tutte per mettere i bastoni tra le ruote a questa nomina. Il perché è aberrante, per un europeo: il lussemburghese è troppo europeista. Non è che sia “incompetente”, o “passato”, o qualsiasi altra cosa: è uno che vuol fare il leader europeo e che, per Cameron (il quale in privato sostiene che neanche Renzi e Merkel sono tanto convinti su questo nome), ha il difetto di essere europeista… Infatti a seguire il britannico c’è solo il campione di nazionalismo ungherese Viktor Orban. Pochi per fare una minoranza di blocco, abbastanza per segnare una spaccatura molto grave in un’Europa che dice che la Gran Bretagna deve restare tra i Ventotto.
E anche qui: dov’è Juncker?
Poi c’è il secondo goal della Germania: aver fatto fuori Martin Schulz. Il presidente (oramai ex, ma per poco) del Parlamento europeo aveva corso per diventare presidente della Commissione. Non ce l’ha fatta, però è riuscito a imporsi some un candidato “a qualcosa” del Pse. Le ha provate tutte: vice presidente della Commissione con l’importante portafoglio del Servizio Esterno, poi vice presidente con un portafoglio qualsiasi, “con Juncker formiamo un tandem” disse. Ma niente, nessuno in realtà lo voleva lì e tanto meno lo voleva Merkel. La quale, quattro giorni fa se ne esce dicendo: potrebbe andare a fare il ancora il presidente del Parlamento (solo per il primo termine, sia chiaro, così tra due anni e mezzo si cambia e alle prossime elezioni i popolari avranno la guida di Commissione e Parlamento). Un modo per farlo fuori dagli incarichi che contano, e anche di umiliarlo, poiché lui sei giorni fa si era dimesso da presidente del Parlamento per fare il capogruppo del Pse al fine di negoziare il suo futuro in Commissione. Bella mossa: negli annali del Parlamento non avrà neanche cinque anni di presidenza continua perché, essendosi dimesso, per questi quindici giorni il capo del Parlamento è il suo ex vicario Gianni Pittella. E poi, chiediamo ai parlamentari europei: che c’entra Merkel o un qualsiasi altro capo di governo nella scelta del presidente del Parlamento? Nessuno ha qualcosa da dire?
Una Merkel che fa e disfa, anche se lei non ha vinto le elezioni neanche in casa sua ed ha visto il Ppe restare sì primo partito in Europa, ma perdendo oltre il 20% dei seggi. Il bello è che i socialisti avevano aumentato i loro seggi in queste elezioni.
Il massimo che sembra possano avere le forze socialdemocratiche, qui però siamo più sulle voci che sulle decisioni esplicite, è la presidenza del Consiglio europeo per la gentile premier danese Helle Thorning-Schmidt, quella che ai funerali di Nelson Mandela non le sembrava vero di essere seduta acconto a Barack Obama e si fece un sorridente selfie che ha girato il mondo. Forse è brava, ma è in realtà una sconosciuta nella politica europea, a capo del governo di un piccolo paese che neanche fa parte dell’euro, e per questo qualche diplomatico a Bruxelles dubita della possibilità di una sua nomina, “come può presiedere il vertice dei capi di governo dell’euro se il suo Paese ne è fuori?”, si domandano.
Insomma, sempre mentre cerchiamo Juncker, la cosa che si può osservare è la sconfitta ampia del Partito socialista europeo, che se aveva una chance era quella di dare retta a Renzi e sembra che invece si sia deciso di snobbarlo. Forse perché è italiano? Forse perché gli altri leader sono invidiosi del suo successo? Forse perché è appena arrivato e si giudica non abbastanza esperto per fare errori europei come fanno gli altri? O forse perché anche Renzi, alla fine, che doveva fare? Come può il capo del governo italiano, che oggi c’è e domani, nella percezione dei partner europei, chissà dove sarà, riuscire a imporre le sue scelte ad altri che, magari perdono pure, ma rappresentano paesi un poco più stabili, che non hanno cambiato tre governi i tre anni?