Bruxelles – L’Europa delle decisioni all’unanimità e dell’abuso che se ne fa inizia a non funzionare più. C’è un problema di regole e procedure, che va affrontato. Anche se il vero elefante nella stanza decisionale a dodici stelle è l’Ungheria di Viktor Orban. Budapest blocca i lavori sul progetto di tassazione minima delle grandi multinazionali, suscitando il disappunto della presidenza francese di turno del Consiglio dell’Ue. “Bisogna sbarazzarsi della regola dell’unanimità per passare a quella della maggioranza su temi fiscali come su altri temi”, scandisce il ministro delle Finanze di Parigi, Bruno Le Maire. “Perché questo dona a qualunque Paese potere di veto”.
L’Unione europea intendeva far procedere l’accordo raggiunto in sede internazionale su un’aliquota minima per i grandi gruppi industriali, quelli con un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro che hanno la loro società madre o controllata nell’UE. L’obiettivo è di imporre una tassa del 15 per cento sui loro ricavi. Questo aspetto specifico è però oggetto di un accordo globale, di natura internazionale, e compreso in quello noto come ‘pilastro due’ della proposta di direttiva europea. Mentre la più generale di una aliquota minima comune per le imprese, compresa nel ‘pilastro 1’, rientra invece in un processo tutto europeo. Fin qui era stata la Polonia a frenare, chiedendo che la legislazione Ue e quella internazionale procedessero di pari passo. Ora, invece, è l’Ungheria a impedire passi avanti su un dossier che Commissione europea e presidenza francese avrebbero voluto tradotto in pratica adesso, a metà 2022.
Persino il Parlamento europeo è pronto, ma per tutti i temi di natura economica, finanziaria e fiscale occorre via libera unanime in Consiglio, dove si teme che l’Ungheria blocchi il dossier in questione per un piano di ripresa ancora bloccato. Ufficialmente i rappresentati ungheresi “fanno riferimenti al dossier” ostaggio del ‘no’ di Budapest, “non sappiamo dire la motivazione dietro la posizione”, confidano fonti Ue. “Hanno fornito spiegazioni che non si capiscono. Non sappiamo se ci sono altri motivi, bisogna chiedere a Budapest”. Intanto l’Ue scopre i limiti di un sistema il cui abuso paralizza la macchina a dodici stelle.
Per sbarazzarsi di questo meccanismo dell’unanimità, come invocato da Le Maire, occorre cambiare i Trattati sul funzionamento dell’Unione europea, che si modificano all’unanimità. Si rischia di non uscire in quello che è un circolo vizioso. Anche se “nessuna regola tecnica può essere sormontata senza volontà politica”, ragiona a voce alta Le Maire. Tradotto: se c’è volontà di fare una cosa, tutto diventa più semplice.
Qualcosa sembra muoversi. La Commissione europea annuncia l’intenzione di voler dare alla Conferenza sul futuro dell’Europa, per “concretizzare le proposte” arrivate dai cittadini. Nel darvi seguito la Commissione si assicurerà che “le nuove riforme e politiche non escludano i dibattiti sulla necessità di modificare i trattati”. Se ciò dovesse avvenire, si potrebbe anche provare a sbarazzarsi di uno strumento oggi controproducente.