La questione del salario minimo, inteso come reddito mensile (oppure orario) che permetta ad una persona di vivere del suo lavoro senza ricorrere all’aiuto dei genitori, dei nonni, o, in assenza di questi, a fare una vita misera, è sacrosanta. Non entro qui nel dibattito salario minimo versus contrattazione, sono storie che riguardano i singoli Paesi, le singole storie del mercato del lavoro.
L’importante è il risultato, che va anche oltre l’immediato diritto del lavoratore di ricevere un giusto compenso. Sì, perché salario basso, irregolare, nero, vogliono dire che l’impresa non è sana, e se l’impresa non è sana il Paese non è sano.
Un’azienda che esiste perché non paga il giusto compenso ai lavoratori allora è un’azienda che non merita di esistere, che anzi, è potenzialmente dannosa per tutto il sistema economico, produttivo ed anche sociale. Se esiste perché paga male i lavoratori, magari acquista o vende “al nero”, e produce dunque un reddito spesso modesto anche per la proprietà (quando invece questa non si arricchisce sulle spalle dei lavoratori e del sistema fiscale) allora vuol dire che non è una buona azienda, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato. Se questo poi diventa sistemico, e, come si è visto, uno dei peggiori pagatori è proprio lo Stato che letteralmente sfrutta molti dei suoi dipendenti nei musei, nelle Università, con salari risibili, allora è tutto il Paese che non funziona.
La produttività è bassa, il gettito fiscale anche, dunque gli ospedali non funzionano, non si possono fare robusti investimenti pubblici, l’istruzione zoppica clamorosamente e così via. E i lavoratori che possono farlo, spesso i “migliori” se ne vanno all’estero, ad arricchire altri sistemi economici, che poi vincono la concorrenza contro chi, come l’Italia, non ha un sistema sano.
Dunque ecco, al di là del dibattito sul salario minimo come principio, ecco che emerge il significato più ampio di questa battaglia, che sia essa sindacale o no. La grande industria, probabilmente, è poco toccata da questo problema in Italia: lì la contrattazione collettiva c’è, e spesso funziona.
La questione riguarda da vicino la miriade di piccole e piccolissime aziende che costellano l’Italia, ma non solo. Spesso vengono definite la “spina dorsale” della nostra economia, in gran parte dicendo la verità. Il che vuol dire anche che queste imprese spesso non sono in condizioni di produrre e competere su un piano di leale parità con le altre. Un po’ come quando ci si lamenta che le aziende delocalizzano in Paesi dove il lavoro costa meno.
Dunque ben venga il salario minimo, per i lavori, e per la salute e la robustezza del sistema economico tutto.