Nonostante si dica rassegnato all’idea di dover rinunciare a una posizione di vertice nell’Ue, Enrico Letta sembra troppo impegnato e propositivo per starsene in disparte. “Ritengo altamente improbabile, se non praticamente impossibile, che possa esserci un altro italiano, oltre Mario Draghi che è presidente della Bce, al vertice di una delle istituzioni europee. Sono consapevole di questo e me ne faccio una ragione”. Così l’ex premier, durante un incontro pubblico sull’Europa, ieri a Roma, ha provato a liquidare la questione della sua nomina alla presidenza del Consiglio europeo. Intorno al suo nome, si dice da giorni nei corridoi romani, ci sarebbe il consenso bipartisan di popolari e socialisti, e anche le divergenze tra Nord e Sud Europa verrebbero attenuate attorno alla figura dell’ex premier.
Tanto più che c’è il problema Gran Bretagna. Con Londra già ci sono pesanti tensioni attorno al nome del popolare Jean Claude Juncker alla presidenza della Commissione. Sarebbe anche difficile far accettare al premier britannico David Cameron – ma il discorso vale anche per altri paesi – un altro italiano oltre Draghi alla guida di una istituzione europea. Lo stesso Letta è consapevole che con gli inglesi non si può tirare troppo la corda. “Metto in guardia dal ‘brexit’ (la potenziale uscita britannica dall’Ue, nda) – ha sottolineato – innanzitutto perché non va sottovalutata la possibilità che ciò accada”. Con il successo elettorale dell’Ukip di Nigel Farage e il referendum in programma nel Regno unito per il 2017, “decisioni avvertite come ostili verso la Gran Bretagna rischierebbero davvero di portare alla vittoria” gli antieuropeisti. E poi, si chiede Letta, “cosa sarebbe l’Ue senza Londra? Non posso immaginare una Unione europea senza la terza o quarta capitale finanziaria del mondo”.
Al di là degli ostacoli alla sua nomina, Letta ha però parlato da leader di primo piano nell’Ue. Sul problema dell’euroscetticismo ha dichiarato che “l’Europa deve tornare ad essere simpatica. Se ne deve parlare a cena, nelle famiglie irlandesi come in quelle italiane, come una opportunità”. Per questo risultato la ricetta si basa su due punti: il lavoro, “che è la priorità assoluta perché i livelli di disoccupazione sono ormai inaccettabili”, e il rilancio del progetto Erasmus, “da estendere ai sedicenni, per dar loro una concreta opportunità” di arricchire la loro esperienza di studio spostandosi all’interno dell’Ue.
Il segno che Letta voglia ancora dire la sua sta soprattutto nei temi economici che ha affrontato. Per prima, la necessità di ribilanciare le politiche di austerity, ponendo una maggiore attenzione alla crescita. “Non si può chiedere a uno Stato di fare dei tagli – ha detto Letta – e pretendere che allo stesso tempo investa per la crescita”. L’idea di togliere le spese per gli investimenti dai vincoli imposti ai conti pubblici “può essere una soluzione”, ma non l’unica. Si può anche pensare “che sia l’Europa a intervenire” là dove gli stati non possono. Il riferimento è ai project bond europei, con cui l’Unione potrebbe sostituirsi (o preferibilmente aggiungersi) agli stati sul fronte degli investimenti.
Letta ha anche indicato alcune priorità per i prossimi 5 anni. La prima è l’energia. Oggi “ogni paese si presenta a trattare dai fornitori con il cappello in mano”. Una “contrattazione collettiva darebbe certamente maggior potere, e maggiori vantaggi” a tutti. Poi “bisogna lavorare sulle interconnessioni”, una rete europea dell’energia. L’esempio è dei rigassificatori spagnoli “che lavorano al 20% delle capacità. Succede perché non c’è una rete in grado di portare quel gas fuori dalla Spagna, verso gli altri paesi dell’Unione”.
Altro tema prioritario, per l’ex premier, è il riequilibrio tra la tutela della concorrenza e lo sviluppo di aziende a carattere globale. “Per anni – è la denuncia di Letta – abbiamo fatto di tutto per impedire la nascita di campioni europei”. L’idea è che, vietando fusioni tra colossi nazionali in nome della concorrenza, si sia negata la possibilità di far nascere imprese in grado di competere con i giganti degli altri continenti. Il rischio, per Letta, è che “quando si uscirà dalla crisi, aziende americane e cinesi faranno il bello e il cattivo tempo”, perché saranno le uniche a potersi permettere una politica di acquisizioni.
L’attenzione al commercio internazionale è un altro tema su cui Letta si è soffermato. Su questo tavolo la partita fondamentale è l’accordo commerciale con gli Stati uniti: “è importantissimo” perché “farebbe guadagnare all’Europa uno 0,5% di Pil all’anno”.