Strasburgo, dall’inviato – Si allungano le ombre dello spyware Pegasus sulle istituzioni europee, dopo le rivelazioni sul CatalanGate e le indiscrezioni sulle intercettazioni di eurodeputati, capi di Stato e di governo UE e membri della Commissione Europea attraverso il software spia israeliano, sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles da quasi un anno. Nel corso del dibattito in sessione plenaria, gli eurodeputati hanno denunciato oggi (mercoledì 4 maggio) quello che potrebbe ben presto diventare “un nuovo Watergate”, come lo ha definito l’olandese Sophia In ‘t Veld (Renew Europe), e su cui è stato esortato il gabinetto von der Leyen a “stabilire responsabilità tra gli Stati membri che hanno utilizzato questo strumento”, ha invocato l’intervento la relatrice sulle violazioni dei diritti fondamentali attraverso l’uso di Pegasus, Saskia Bricmont (Verdi/ALE).
A questo proposito, sono iniziati a metà aprile i lavori della commissione speciale Pegasus, che dovrà indagare sui casi di spionaggio di attivisti, giornalisti, membri della società civile e politici europei: “Pegasus è al centro dell’Unione Europea, una commissione d’inchiesta è abbastanza rara, e questo dimostra la gravità del caso”, ha ricordato Hannes Heide (S&D). La commissione speciale si concentrerà su ciò che le istituzioni comunitarie possono mettere in atto a contrasto, “ma nulla può essere fatto senza volontà politica da parte di tutti i gruppi politici“, è il forte richiamo alla responsabilità da parte della relatrice belga. Il salto di qualità nell’uso del software di spionaggio è stato scoperto lo scorso 12 aprile, quando Reuters aveva rivelato che il commissario per la Giustizia, Didier Reynders, insieme ad altri quattro alti funzionari europei, sarebbe finito sotto sorveglianza di ignoti, oltre al presidente francese, Emmanuel Macron, e il premier spagnolo, Pedro Sánchez: “Il verme è nel frutto, non è solo una questione nazionale, perché il diritto europeo è stato violato”, ha avvertito Bricmont.
Quello che però fa tremare l’Eurocamera – e fa parlare di “nuovo Watergate” – è quanto emerso dall’indagine del gruppo di ricerca Citizen Lab, battezzato subito CatalanGate: almeno 65 politici e attivisti catalani sono stati presi di mira dallo spyware Pegasus, compresi cinque eurodeputati e i loro assistenti. Si tratta dell’ex-presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont i Casamajó, l’ex-ministro della Salute, Antoni Comín i Oliveres, l’ex-ministra dell’Istruzione, Clara Ponsatí Obiols, e i due membri della famiglia politica europea dei Verdi/ALE, Jordi Solé e Diana Riba i Giner. Che si tratti di una questione che preoccupa i vertici dell’istituzione comunitaria lo ha dimostrato la decisione della presidente, Roberta Metsola, di attivare un servizio del Parlamento UE per esaminare gli smartphone di tutti gli eurodeputati che ne facciano richiesta, per verificare se sono stati oggetto di spionaggio attraverso il software Pegasus.
Nonostante le accese polemiche interne al dibattito nazionale spagnolo, i gruppi politici al Parlamento Europeo hanno denunciato le pratiche di violazioni dei diritti fondamentali attraverso i software di spionaggio e tutti e cinque gli eurodeputati catalani finiti nel mirino di Pegasus hanno preso parola nell’emiciclo. “Ogni volta che non si reagisce e ci si gira dall’altra parte, gli Stati diventano sempre più immuni alla giustizia“, ha denunciato Solé, mentre la collega di partito Riba i Giner ha ricordato che “tutti sono vittime di rimando, perché attraverso di noi è stata compromessa la sicurezza del Parlamento Europeo”. Per il leader indipendentista Puigdemont i Casamajó, “il CatalanGate è uno dei più grandi scandali recenti, perché è stato utilizzato da regimi apparentemente democratici, non solo da Stati autoritari”. Duro Comín i Oliveres, che ha dichiarato che “qualcuno dovrà assumersene la responsabilità politica“, e Ponsatí Obiols ha avvertito le istituzioni europee che “c’è un momento in cui o si arresta la malattia, o si diventa parte di essa”.
Lo scandalo Pegasus
Il caso del software di sorveglianza sviluppato dall’azienda israeliana NSO Pegasus era scoppiato nel luglio dello scorso anno, quando l’inchiesta internazionale della rete di giornalismo investigativo Forbidden Stories – che ha coinvolto 17 testate tra cui The Guardian, Washington Post, Süddeutsche Zeitung, Die Zeit e Le Mond e l’organizzazione non governativa per i diritti umani Amnesty International – aveva rivelato l’utilizzo da parte di 50 Paesi in tutto il mondo di questo spyware per hackerare oltre 50 mila numeri di telefono, anche nell’UE. Insieme a regimi autoritari come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nella lista è comparso il governo ungherese di Viktor Orbán, che avrebbe messo nel mirino avvocati, politici di opposizione e giornalisti, e anche quello polacco di Mateusz Morawiecki, che avrebbe speso 5,4 milioni di euro del Fondo per la giustizia per acquistare il software incriminato. Con lo scoppio del CatalanGate, anche i servizi segreti spagnoli sono sospettati di aver fatto uso di Pegasus per sorvegliare gli indipendentisti catalani, tra cui i cinque eurodeputati.
Nella pratica, quello venduto solo con il permesso del ministero della Difesa israeliano – e teoricamente solo per scopi di anti-terrorismo – è un malware di spionaggio. Si tratta di uno strumento che sfrutta i difetti del software dello smartphone per raccogliere informazioni sulle attività online di un utente senza il suo consenso, come conversazioni, e-mail, messaggi, foto, video. Lo spyware permette anche di trasformare il dispositivo in un registratore audio e video per sorvegliare in tempo reale il contatto intercettato. Tra questi potrebbe esserci anche il commissario Reynders e su questo punto particolare si sono concentrati alcuni eurodeputati, in particolare l’olandese In ‘t Veld: “La Commissione non può sminuire, non è un’opzione occuparsi di questa questione, ed è irrilevante se gli hacker non sono andati fino in fondo, perché bisogna indagare sui responsabili delle ingerenze nelle politiche comunitarie“.