Cernobbio – Un Paese ancora fortemente dipendente dal contante. Aumentano gli italiani che usano sistemi di pagamento digitali, ma l’Italia precipita in fondo alla classifica dei paesi europei per numero di transazioni cashless pro capite, registrando un andamento opposto alla media europea. Gli investimenti del PNRR potrebbero contribuire a invertire la tendenza e generare quasi 800 milioni di transazioni digitali aggiuntive per un controvalore superiore ai 27 miliardi di euro. Il settimo rapporto della Community Cashless Society 2022, presentato oggi a Cernobbio da The European House – Ambrosetti riporta dati contrastanti sull’andamento dei pagamenti elettronici nel nostro Paese.
Nonostante l’aumentata propensione degli italiani a utilizzare sistemi di pagamento alternativi al contante, anche nel 2020 l’Italia rimane terzultima in Europa per numero di transazioni pro capite. Il dato si ferma a 61,5, addirittura diminuito rispetto al dato dell’anno precedente (61,7). Solo Romania (53) e Bulgaria (31) fanno peggio, con una media europea che si attesta a 142 e il Paese best performer, la Danimarca, che arriva a 379 transazioni pro-capite nel 2020. Diminuisce dell’1,4 per cento il valore complessivamente transato con carte di pagamento e prepagate, pari a 253 miliardi di euro. (Figura qui sotto)
Nel Cashless Society Index 2022, lo strumento di monitoraggio che fotografa il posizionamento dei paesi europei sulla base di 16 indicatori, l’Italia perde due posizioni ed è ora quartultima in Unione Europea per stato di avanzamento della Cashless Society davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria. Il punteggio è di 3,43, in riduzione rispetto a quello dello scorso anno (3,60). Si confermano in testa alla classifica i paesi Scandinavi e del Nord Europa: la Danimarca al primo posto con un punteggio di 8,13 (in aumento rispetto al 7,80 dell’edizione precedente), seguita dalla Svezia (7,00) e dalla Finlandia (6,72).
In particolare, l’Italia mostra un quadro ‘a due velocità’ con riferimento ai due sotto-indici che costituiscono il Cashless Society Index: guadagna 5 posizioni nel sotto-indice dei “Fattori abilitanti” (posizionandosi 16a in classifica) mentre perde 3 posizioni nel sotto-indice “Stato dei Pagamenti”, posizionandosi 24a su 27 Paesi con un punteggio di 2,94 che la pone davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria.
L’aumento dell’utilizzo del contante, avverte il rapporto, è stato generalizzato per tutti i paesi mappati, a causa di un aumento dell’offerta monetaria e di una corrispondente riduzione del Pil, entrambi fenomeni dovuti alla pandemia.
Anche nell’edizione 2022 è stato elaborato il Cashless Society Speedometer (CSS), ovvero l’indicatore che misura la velocità con cui i paesi dell’Unione europea si muovono nella transizione verso l’abbandono del contante entro il 2025. Un traguardo che si allontana per l’Italia che ha ridotto la sua accelerazione nei confronti dei migliori performer europei.
“Anche quest’anno l’Italia si conferma un paese fortemente cash-based e ci posizioniamo tra le 30 peggiori economie al mondo per cash intensity con un valore del contante in circolazione sul Pil pari a 15,4 per cento” sottolinea Valerio De Molli, amministratore delegato di Ambrosetti, secondo il quale “sebbene siamo ancora lontani dal raggiungimento di una piena e diffusa cashless society, ci sono anche alcune buone notizie: ad esempio, dalla survey condotta dalla community ai cittadini, emerge che oltre 7 italiani su 10 vorrebbero utilizzare di più il cashless e 6 italiani su 10 dichiarano di voler ridurre l’utilizzo del contante in futuro”.
Infine il rapporto evidenzia la crescita delle criptovalute come ulteriore strumento di pagamento digitale. Oggi ne circolano quasi settemila sui mercati globali, con un aumento del 10.242 per cento dal 2013 e un volume di scambio che ha toccato quasi 2,2 trilioni di dollari a maggio 2021. In questo quadro molti governi e banche centrali stanno valutando l’introduzione di proprie monete digitali. A differenza delle monete digitali di prima generazione, hanno un prezzo stabile perché vincolato a sua volta a un mezzo di scambio stabile – proprio come le monete tradizionali – e per questo vengono definite ‘stablecoin’. Tuttavia, la differenza rispetto alla classica moneta di conto è che il suo utilizzo non necessita di essere intermediato da un istituto bancario.
Secondo molti analisti, le Istituzioni e i governi sono legittimati a ritenere che le stablecoin possano diventare una moneta globale e concorrere con le monete legali attualmente in circolazione. Di conseguenza, a fronte di una potenziale diffusione sistemica, governi e banche centrali non potranno più permettersi di osservare passivamente il fenomeno e saranno chiamate ad adottare una propria moneta in versione digitale.