Bruxelles – Charles Michel resta dov’è. Guiderà il Consiglio europeo per altri due anni e mezzo, fino al 30 novembre 2024. I capi di Stato e di governo hanno confermato il liberale belga alla testa dell’istituzione comunitaria, conferendogli il secondo mandato, diventato oramai una consuetudine. Anche i suoi predecessori, Herman van Rompuy e Donald Tusk, hanno effettuato due mandati.
La rielezione di Michel non è quello che potrebbe sembrare. La conferma non è il riconoscimento del lavoro svolto in questi primi due anni e mezzo, in scadenza a giugno. Diversi capi di Stato e di governo non sono soddisfatti di come ha saputo muoversi, a partire dall’incidente in Turchia e il posto mancante per Ursula von der Leyen, il modo in cui è stato gestito, e le spiegazioni addotte. E poi il ruolo, che si considera portato, senza l’esperienza necessaria, al di là delle sue funzioni. “Io non lo voterei mai, ma in questa situazione, con la guerra in Ucraina, sarà rieletto perché non c’è modo di fare altro”, riconosce un diplomatico europeo.
Michel ha interpretato l’incarico in senso forse fin troppo attivo, per quanto riguarda la politica estera. Si è ritagliato una parte di attore protagonista, nell’Europa degli Stati e ancora alla ricerca di una politica estera comune, mettendosi in quasi in competizione, oltre che con i capi della diplomazia dei Ventisette, anche con la figura dell’Alto rappresentante.
Ma non confermare Michel avrebbe significato riaprire un tavolo negoziale che ora più che mai l’Ue, anche volendo, non potrebbe permettersi. La guerra russo-ucraina, i rischi di carestia specie nei Paesi in via di sviluppo africani, il caro-energia, non consentono di intavolare nuove trattative politiche per ridisegnare lo scacchiere istituzionale a dodici stelle. Quindi avanti con Michel, non fosse altro per la praticità della soluzione. Dal Consiglio arrivano i complimenti e le congratulazioni di rito, ma il via libera non inganni.