In base alla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen nessuno può essere sottoposto a procedimento penale in uno Stato contraente per i medesimi fatti per i quali è stato già giudicato “con sentenza definitiva” in un primo Stato contraente.
La vicenda nasce da un procedimento avviato contro un cittadino italiano residente in Belgio, paese dove, in seguito a diverse denunce sporte dalla nuora, nel 2004 è stato avviato a suo carico un procedimento penale per comportamenti costitutivi di violenza sessuale che sarebbero stati commessi nel territorio belga tra maggio 2001 e febbraio 2004 nei confronti della nipote, nata il 29 aprile 1999.
Al termine di un’attività istruttoria nel corso della quale sono stati raccolti ed esaminati diversi elementi di prova, il Tribunale di primo grado di Mons, nel 2008, ha adottato una decisione di non luogo a procedere per insufficienza di elementi a carico. La Corte d’appello di Mons ha confermato tale decisione nel 2009. Il ricorso in Cassazione è stato respinto con una sentenza del 2009. Storia chiusa? No, perché parallelamente all’istruttoria condotta in Belgio e in seguito ad una denuncia sporta dalla stessa nuora nel 2006 presso la polizia italiana, è stato avviato dinanzi al Tribunale di Fermo un procedimento penale a carico dello stesso nonno e per gli stessi fatti. Qui la sigora ha avuto un primo successo perché il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Fermo ha disposto il rinvio a giudizio dell’uomo.
Il Tribunale di Fermo però ha avuto il dubbio che processare per lo stesso reao una persona che già aveva subito un procedimento non fosse corretto, e dunque ha chiesto alla Corte di giustizia UE se una decisione di non luogo a procedere che impedisce, nello Stato contraente in cui è stata pronunciata, nuovi procedimenti per i medesimi fatti, (ovviamente, senza che giungano nuovi elementi a carico dell’accusato) debba essere considerata definitiva e precluda pertanto un nuovo procedimento contro la stessa persona per i medesimi fatti in un altro Stato contraente.
Nella sua sentenza odierna la Corte ricorda innanzitutto che, per appurare se una decisione giudiziaria costituisca una sentenza definitiva, occorre assicurarsi che sia stata pronunciata previa una valutazione nel merito. Una decisione con cui un imputato è definitivamente assolto per insufficienza di prove, deve essere considerata fondata su una tale valutazione. Dunque affinché una persona possa essere considerata “giudicata con sentenza definitiva”, l’azione penale deve essere definitivamente estinta, di modo che dia luogo alla tutela conferita dal principio del ne bis in idem. E dunque, secondo la Corte ue dal momento che, con la sentenza della Cour de cassation del 2009, la decisione di non luogo a procedere è passata in giudicato, l’azione penale deve essere considerata estinta. Sempre che, sottolineano i giudici, non siano giunti fatti nuovi definiti come tali dalle norme in vigore.